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Gli Anni ‘50

Gli anni ’50 furono anni di svolta per il football professionistico. Dopo avere assorbito la AAFC, la NFL si impose con ancor più decisione come una realtà oramai consolidata nel panorama sportivo nazionale. Sotto la guida del commissioner Bert Bell, la lega conobbe una fase di grande prosperità, grazie anche al connubio con la televisione e, più in generale, al periodo di boom economico e di ottimismo che stava prendendo piede negli States. E l’evento cruciale che avrebbe dato la spinta decisiva fu il celebre Championship Game del 1958, che vide la vittoria dei Baltimore Colts sui New York Giants dopo un overtime.

Riorganizzazione

Il 1950 iniziò con l’ingresso nella lega di tre franchigie della oramai defunta AAFC: i Cleveland Browns, i Baltimore Colts e i San Francisco 49ers.
Era chiaro che la NFL aveva da sempre guardato la lega rivale con aria di sufficienza, ma è innegabile che l’acquisizione della AAFC rappresentò un’iniezione di talento per nulla trascurabile. I New York Giants accolsero nelle proprie schiere i defensive backs Tom Landry e Harmon Rowe e il defensive tackle Arnie Weinmeister, provenienti da Brooklyn. Cleveland fu rinforzata dall’arrivo della guardia Abe Gibron, dell’halfback Rex Bumgardner e del defensive tackle John Kissell da Buffalo. Tutti gli altri giocatori della AAFC furono inseriti in un draft speciale che si tenne nel Giugno del 1950.
Ma il vero valore aggiunto fu l’ingresso dei Cleveland Browns, che annoveravano i futuri Hall of Famers Otto Graham, Marion Motley, Len Ford, Bill Willis, Frank Gatski, Dante Lavelli, Lou Groza ed il coach Paul Brown. Nel loro primo anno nella NFL realizzarono un record di 10 vinte e 2 perse, battendo poi i New York Giants in uno spareggio per il titolo della American Conference.

San Francisco aveva il grande running back Joe Perry e il quarterback Frankie Albert, mentre Baltimore poteva contare sul defensive tackle Art Donovan e sul quarterback Y.A.Tittle.
Nel frattempo, la NFL rinominò la Eastern Division in American Conference e la Western Division in National Conference, per poi fare retromarcia nel 1953 introducendo la Eastern e la Western Conference.

Tutte rose e fiori?

Con l’ingresso di 3 nuove franchigie e con l’introduzione della sostituzione libera, la qualità del gioco conobbe un incremento significativo. Una grande mano alla divulgazione popolare del football professionistico fu data dalla televisione. Ma non furono tutte rose e fiori: nel 1950 i Rams divennero la prima squadra le cui partite, sia quelle casalinghe che quelle in trasferta, vennero trasmesse in TV. Fu un errore colossale: i fans spesso e volentieri preferivano godersi lo spettacolo comodamente in poltrona piuttosto che sugli spalti del Coliseum. Se nel 1949 i Rams avevano attirato allo stadio complessivamente 205.109 spettatori (nonostante la concorrenza dei Dons della AAFC), nel 1950, senza più la scomoda presenza dei rivali cittadini e nonostante un’ottima stagione, conclusasi con l’approdo al Championship Game, il pubblico quasi dimezzò. Per questo motivo dal 1951 i Rams decisero di mandare in TV soltanto le partite in trasferta e la media-spettatori tornò sui livelli del 1949.
Il 1950 fu l’anno di Doak Walker, rookie halfback dei Detroit Lions. Walker ebbe una stagione strepitosa, imponendosi come top scorer della lega con 128 punti, grazie a 5 touchdowns su corsa e 6 su ricezione, 38 extra points su 41 e 5 field goals realizzati.

Il quarterback dei Lions Bobby Layne fu il miglior passatore con 2323 yards, mentre il rovescio della medaglia fu il qb dei Chicago Cardinals, Jim Hardy, che nella partita inaugurale contro Philadelphia riuscì a farsi intercettare per ben 8 volte !
I Cleveland Browns, fino ad allora snobbati dai più, si conquistarono fin da subito il rispetto di tutti. Come ? Alla loro maniera, sul campo. Battendo gli Eagles campioni uscenti con un netto 35-10.
“Quando finalmente li affrontammo, eravamo oramai psicologicamente pronti. Avremmo giocato anche per una cassa di birra o, per quel che mi riguarda, per un milk shake al cioccolato”, avrebbe ricordato Otto Graham.

Rams alla carica

Per la prima volta nella storia, nel 1950 furono necessari degli spareggi per l’assegnazione dei titoli di entrambe le conference.
Nell’American Conference i Cleveland Browns sconfissero 8-3 i Giants a New York, grazie ad una grande prova della difesa.
Nella National Conference, i Rams si imposero per 24-14 su Chicago, grazie a Tom Fears (7 passaggi ricevuti, per 198 yards e 3 TD) e Bob Waterfield (280 yards su passaggio). I Rams avevano iniziato la stagione con un 2 vittorie e 2 sconfitte, tra cui un 56-20 subito a Philadelphia. Fu quella la molla che fece scattare il coach Joe Stydahar. “Ecco perché non riuscite a vincere”, esplose il coach togliendosi una protesi dentaria. “Mezza dozzina di giocatori degli Eagles indossa una di queste. Nessuno nella nostra squadra ha il coraggio di caricare a testa alta. Da ora in avanti, voglio vedere il sangue. Voglio vedere i denti volare”.
La settimana seguente i Rams sconfissero i Lions 30-28, per poi battere Baltimore 70-27 e di nuovo i Lions per 65-24. Vinsero 7 delle ultime 8 partite, segnando 466 punti, record di lega.

Il Championship Game tra Browns e Rams era una delle partite più attese di sempre. Sarebbe stata la prima apparizione dei Rams al Municipal Stadium di Cleveland da quando si erano trasferiti in California.

Niente più diffidenze

Il Championship Game si giocò il giorno della vigilia di Natale 1950.
Il terreno di gioco era ghiacciato, ed era difficile restare in equilibrio. Per questo motivo i Browns scelsero di giocare con le scarpe da tennis.
All’inizio dell’ultimo quarto, i Browns erano sotto 28-20. Ma Otto Graham non si fece prendere dal panico, orchestrando un drive da 65 yards, completando 9 passaggi (tra cui 5 di fila per Dante Lavelli) di cui l’ultimo per Rex Bumgardner, che si tuffò nella end zone per il 28-27. I Browns riconquistarono palla grazie ad un intercetto, ma i Rams recuperarono prontamente un fumble di Graham. Sembrava scontato che i Rams avrebbero difeso quel unto di vantaggio facendo affidamento sul running game per far scadere il tempo. “Paul Brown era un tipo tranquillo”, disse Graham, “non alzava mai la voce ma ti gelava con lo sguardo. In vita mia non mi sono mai sentito così male come dopo quel fumble. Uscii dal campo e Paul Brown mi diede una pacca sulla spalla dicendomi: ‘Non ti preoccupare, siamo ancora in tempo per riprenderli’. Non vi dico quanto mi sentii rinfrancato da quel gesto. Si fosse limitato ad un’occhiata, probabilmente non avrei avuto la forza di condurre la squadra alla vittoria. Paul Brown sapeva quando era il momento di darti un calcio nel sedere e quando era il momento di darti una pacca sulla spalla”.
La difesa dei Browns costrinse Los Angeles al punt, e Cliff Lewis lo ritornò sulle proprie 32. Con 1:48 al termine, Otto Graham si rimise all’opera. Dapprima bucò la difesa dei Rams con una corsa di 14 yards, poi completò 3 passaggi su 4 portando i Browns sulle 11 yards. A quel punto Brown chiamò una quarterback sneak per portare i suoi in una posizione più centrale, agevolando il lavoro al suo kicker Lou Groza. Questi non fallì, e mise dentro il field goal da 16 yards che sancì il 30-28 per Cleveland con ancora 28 secondi da giocare. Quando Warren Lahr intercettò il passaggio della disperazione di Norm Van Brocklin, i Browns riuscirono nell’impresa che nessuno avrebbe mai pronosticato: vincere il titolo NFL nella propria stagione inaugurale.
La settimana seguente, per la prima volta dal 1943, si giocò il Pro Bowl. Dal 1938 al 1942 i campioni NFL avevano affrontato una selezione di stelle della lega. Nel 1950 l’abbondanza di talento spinse gli organizzatori a mettere a punto una sfida tra le star della American Conference e quelle della National Conference. Quel Pro Bowl fu sponsorizzato dal Los Angeles Times e si giocò al Coliseum. Fu uno shootout emozionante: Otto Graham chiuse con 19/27, 252 yards, 1 TD su passaggio e 2 su corsa, guidando la American Conference alla vittoria per 28-27.
Nel frattempo i Baltimore Colts, dopo un disastroso record di 1-11, furono costretti a chiudere i battenti. Sarebbero rimasti fuori dal football solamente 2 stagioni.

Una nuova terra di conquista?

Nel 1951 la NFL era composta da 12 franchigie, e la più debole di queste erano indiscutibilmente i New York Yanks, reduci di un record di 1-9-2. Il loro proprietario, Ted Collins, realizzò ben presto che la sfida con i Giants, rivali cittadini, era persa in partenza. Così vendette la squadra alla lega. Un gruppo di uomini di affari di Baltimore fece un’offerta per riportare il football nel Maryland, ma la NFL preferì accettare l’offerta di una cordata di 21 imprenditori di Dallas, guidata dai fratelli Giles e Connell Miller. I proprietari delle altre franchigie, con l’eccezione di Art Rooney degli Steelers, videro di buon occhio la nascita di una compagine texana, data la popolarità di cui godeva il football universitario nel Lone Star State. Ma i neonati Dallas Texans nacquero sotto una cattiva stella: una pessima campagna promozionale e un front office non all’altezza non seppero far innamorare i texani del football pro. Un’ulteriore grana era rappresentata dal contratto del quarterback George Ratterman, che prevedeva una clausola liberatoria qualora gli Yanks avessero lasciato New York. Così quando gli Yanks divennero i Texans, Ratterman si unì ai Cleveland Browns. Altro problema fu il pregiudizio razziale ancora ben radicato nel sud: due dei migliori giocatori dei Texans, George Taliaferro e Buddy Young, erano mal visti dai fans perché di colore. Gli spettatori affluiti al Cotton Bowl nelle 4 partite casalinghe furono in totale poco meno di 50.000, praticamente un fiasco totale. Verso metà stagione i fratelli Miller decisero si farsi da parte, lasciando alla NFL il pieno controllo della società. I Texans giocarono le rimanenti partite in trasferta, compresa quella giocata contro i Bears il Giorno del Ringraziamento, ad Akron, Ohio. Quella fu la loro unica vittoria, 27-23, davanti ad appena 3000 spettatori.
Nel Dicembre 1952 il commissioner Bert Bell decise che qualora fossero stati venduti almeno 15.000 biglietti, i Texans sarebbero diventati i Baltimore Colts. I fans del Maryland fecero sentire il propriosupporto, e Bell consegnò la franchigia a Carroll Rosenbloom.
Nel frattempo, i Browns si imposero sui Bears di George Halas per 42-21, grazie ai 6 touchdowns segnati dall’halfback Dub Jones, conquistando il diritto di giocare il Championship Game.

Rematch

I Browns e i Rams si affrontarono al Los Angeles Coliseum per il Championship Game del 1951, la rivincita di quello dell’anno precedente. Fu anche la prima partita NFL ad essere trasmessa in tutta la nazione.
I Los Angeles Rams di Joe Stydahar strabiliarono per il gioco aereo, grazie ai lanci dei quarterbacks Norm Van Brocklin e Bob Waterfield e alle ricezioni di Elroy “Crazylegs” Hirsch, che in quella stagione ricevette 66 passaggi per 1495 yards e 17 TD, eguagliando il record di Don Hutson.

Ma Stydahar era anche consapevole della forza del proprio backfield, schierando contemporaneamente 3 fullbacks, Dick Hoerner, Deacon Dan Towler e Paul “Tank” Younger, in una partita contro i 49ers. I Rams vinsero 23-16 e quella formazione passò alla storia come “Bull Elephant Backfield”. Contro i Bears, Los Angeles era sotto 14-0 prima che i Bull Elephants si mettessero in marcia, macinando 338 yards sul terreno e propiziando la vittoria per 42-17.
Stydahar preparò il Championship contro i Browns pensando di controllare il gioco bilanciando le corse con i passaggi. Per gran parte della gara, la strategia funzionò: sebbene i Rams avessero guadagnato su corsa solo 81 yards su 43 portate, riuscirono a tenere fuori dal campo per lungo tempo il poderoso attacco dei Browns. Il passing game dei californiani fu efficace come sempre, con 253 yards guadagnate grazie ai lanci di Van Brocklin e Waterfield. Tom Fears ricevette 4 passaggi per 146 yards, compreso il TD decisivo su una bomba da 73 yards di Waterfield. Risultato finale, Rams 24, Browns 17.
Nel 1952 i Browns raggiunsero il settimo Championship Game di fila, ma furono sconfitti per la seconda volta consecuiva. Autori dell’impresa, i Detroit Lions che, guidati da Bobby Layne e Doak Walker, tornarono alla vittoria del titolo dopo 17 anni imponendosi per 17-7 a Cleveland. Walker guadagnò 97 yards su corsa, incluso un TD su corsa da 67 yards, mentre Layne lanciò per 68 yards, corse per 47 e segnò l’altro TD dei Lions.

Il ruggito dei leoni

Philadelphia perse Bud Grant, suo miglior ricevitore nel 1952 con 56 ricezioni per 997 yards, quando questi nel 1953 preferì emigrare nella Canadian Football League.
Ma fu presto dimenticato grazie ai progressi di Pete Pihos, leader NFL in termini di passaggi ricevuti (63) e yards guadagnate (1049). Grant sarebbe rientrato nella NFL solo 14 anni dopo, come head coach dei Minnesota Vikings.
I Browns e i Lions si contesero ancora una volta il Championship Game, e Detroit prevalse 17-16. Con quella sconfitta, Cleveland perse il terzo titolo di fila. Otto Graham giocò la sua peggior partita da pro, completando solo 2 passaggi su 15 per 20 yards. Ma grazie a 3 field goals di Lou Groza, i Browns conducevano 16-10 con 4:10 al termine. Il drive dei Lions ripartì dalle 20 yards. Bobby Layne arrivò nell’huddle dicendo ai compagni: “Ragazzi, se bloccate un po’ il vecchio Bobby vi guida dritti al titolo”. E lo fece. Layne completò un passaggio da 17 yards per Jim Doran, poi, dopo 2 incompleti, trovò ancora Doran per 18 yards. Un passaggio da 9 yards per Cloyce Box ed un tentativo fallito su corsa misero i Lions in una situazione di 3&1 sulle 36 dei Browns. Allora Layne con una sneak conquistò il primo down, poi chiamò timeout per confrontarsi col coach Buddy Parker. Questi aveva notato che il defensive end Len Ford era completamente votato alla pass rush, così chiamò uno screen pass. Ma, tornato nell’huddle, Layne pensò di fare di testa sua confidando sulle doti sul profondo di Jim Doran. Quest’ultimo, schierato solo a causa dell’infortunio del titolare Leon Hart, eluse la copertura di Warren Lahr e ricevette il passaggio da 33 yards per il touchdown, con 2:08 alla fine. L’extra point di Walker portò i Lions sul 17-16, dando ai suoi il secondo titolo consecutivo.

Gli assistenti giusti

Il 1954 vide l’emergere di alcune eccitanti novità. Il runner dei San Francisco 49ers, Joe Perry, divenne il primo back a superare la barriera delle 1000 yards per 2 stagioni consecutive. Il quarterback di Philadelphia, Adrian Burk, eguagliò il record di 7 passaggi in touchdown in una singola partita. A Baltimore, i Colts nominarono loro head coach un ex assistente di Paul Brown, Weeb Ewbank.
Questi promise che avrebbe portato la squadra al titolo entro 5 anni, ma nella prima stagione non riuscì a far meglio di un deludente 3-9.
Anche il coaching staff dei New York Giants, reduci da un record di 3-9, conobbe delle novità: il nuovo head coach Jim Lee Howell nominò Vince Lombardi , ex coach di Army, suo offensive coordinator, mentre Tom Landry divenne il defensive coordinator.
L’impatto fu immediato: nel 1954 i Giants tornarono a registrare un record positivo (7-5). Landry mise a punto la difesa 4-3, mentre Lombardi introdusse la power sweep, sfruttando i blocchi del tackle Roosevelt Brown, grazie ai quali Eddie Price e Frank Gifford guadagnarono insieme più di 900 yards su corsa. Howell riuscì inoltre a convincere Charlie Conerly a tornare in campo, avendo a disposizione un quarterback esperto per innescare i ricevitori Kyle Rote e Bob Schnelker.

Una delle grandi innovazioni introdotte da Lombardi fu lo studio degli avversari tramite i filmati. In quegli anni si sarebbero uniti ai Giants il defensive end Andy Robustelli, il linebacker Sam Huff, i fullbacks Alex Webster e Mel Triplett e il defensive tackle Roosevelt “Rosie” Grier. Grazie anche al loro apporto, i Giants vinsero il titolo di conference nel 1956,1958 e 1959.
Ancora una volta, il Championship del 1954 fu una rivincita tra Lions e Browns. Cleveland riuscì a interrompere la striscia negativa e si impose con un magniloquente 56-10. Otto Graham dichiarò che quella sarebbe stata l’ultima partita, e giocò come se non ci fosse un domani: 163 yards e 3 TD su passaggio, altri 3 TD su corsa. Incredibilmente, i Lions guadagnarono 331 yards (contro le 303 dei Browns) ma ben 6 turnovers (tutti tramutati in touchdowns) furono loro fatali.

Un brevissimo ritiro

Nel 1955, dopo quattro partite di preseason, Paul Brown riuscì a convincere Otto Graham a tornare in campo. E “Automatic Otto” dimostrò di avere ancora benzina in corpo, venendo eletto nella All-NFL team per la sesta volta di fila e guidando i Browns ad un altro titolo.
I Rams del ’55 erano guidati da Sid Gillman, una delle migliori menti offensive della storia di questo gioco. Gillman poteva avvalersi dei lanci di Norm Van Brocklin per Tom Fears e “Crazylegs” Hirsch, e del solido running game di Ron Walker e Tank Younger. Ma quei raffinati meccanismi nulla poterono contro i Cleveland Browns nel Championship Game. I Browns intercettarono ben 7 passaggi (6 di Van Brocklin), ritornandone uno per 65 yards in TD con Don Paul. Al termine della gara, gli 85.693 spettatori accorsi al Los Angeles Coliseum avevano assistito al trionfo dei Cleveland Browns, per 38-14. Graham passò per 209 yards e 2 TD, segnandone altri 2 su corsa, ritirandosi nuovamente appena finito il match. Questa volta avrebbe mantenuto fede alla parola, concludendo la sua carriera da professionista dopo aver giocato il decimo Championship in 10 anni.

Pittsburgh, che non conosceva una stagione vincente dal 1949, poco prima dell’inizio della stagione 1955 si rese protagonista di una scelta che avrebbe rimpianto per anni. Il coach Walt Kiesling cercava un backup per il quarterback titolare Jim Finks, così decise di mettere alla prova Ted Marchibroda, Vic Eaton ed il semisconosciuto Johnny Unitas. Alla fine Kiesling decise di tagliare proprio Unitas.
Allora quest’ultimo giocò la stagione 1955 in una lega semipro, per poi essere chiamato da Weeb Ewbank dei Colts quando il quarterback George Shaw subì un infortunio ad un ginocchio. Unitas completò il 55.6 % dei passaggi, stabilendo un record per un rookie, e i Colts chiusero con 5 partite e 7 sconfitte. Oltre a Unitas, acquisirono anche l’halfback Lenny Moore per fare da complemento al fullback Alan Ameche. Era chiaro che i Colts sarebbero presto diventati grandi.
I Giants lasciarono i Polo Grounds per trasferirsi allo Yankee Stadium nel 1956, lo stesso anno in cui la NFL rese illegale aggrapparsi alla facemask. La cattedrale del baseball portò bene ai Big Blue, che tornarono al successo nella Eastern Conference per la prima volta dal 1946, negando ai Browns il titolo divisionale per la prima volta nella loro storia. I Browns un tracollo, chiudendo con un record di 5-7, e i quarterbacks Tom O’Connell, George Ratterman e Babe Parilli non riuscirono a sostituire degnamente il grande Otto Graham.

Un declino inesorabile

I Giants, guidati da Frank Gifford, affrontarono i Chicago Bears nel Championship Game del 1956, tenutosi nel gelo dello Yankee Stadium. New York inflisse ai Bears una delle più umilianti sconfitte di sempre, 47-7. Oltre ad una prova esemplare da parte della difesa (che concesse solo 67 yards su corsa), i G-Men si imposero grazie anche ad Alex Webster (2 TD su corsa) e allo stesso Gifford, che mise la propria firma ricevendo in touchdown un passaggio di Charlie Conerly.

Una tale prestazione difensiva fu ancora più memorabile se si considera la forza dell’attacco di quei Bears, che nella regular season guadagnarono ben 4537 yards, segnando 363 punti. I punti cardinali di quell’attacco erano il quarterback Ed Brown, il wide receiver Harlon Hill e il fullback Rick Casares, leader NFL con 1126 rushing yards e 14 TD. Ma nulla poterono contro il gameplan difensivo dei newyorchesi, messo a punto da Tom Landry ed eseguito alla perfezione dai vari Emlen Tunnell, Sam Huff, Andy Robustelli e Rosey Grier. Chicago, in un estremo tentativo, provò a passare dalla T-formation alla double wing, ma fu l’ennesimo buco nell’acqua.
“I Monsters of the Midway, come erano soprannominati i Bears, erano considerati la squadra più ostica da affrontare”, avrebbe ricordato Frank Gifford. “Ma scoprimmo ben presto che non avevano la minima idea di quello che avrebbero trovato. Li sovrastammo sia in attacco che in difesa, eravamo più furbi di loro in tutto”.

Anche i muri hanno orecchie

La stagione 1957 iniziò in modo insolito: dopo sole 2 partite di preseason il coach di Detroit, Buddy Parker, rassegnò le dimissioni per poi firmare coi Pittsburgh Steelers.
Nel frattempo Pete Rozelle diventava il general manager dei Los Angeles Rams, mentre i Cleveland Browns scelsero il fullback di Syracuse, Jim Brown.
Questi si impose subito come rushing leader della lega, con 932 yards, portando i Browns al Championship Game dopo un anno di assenza. Il titolo di rookie dell’anno fu una pura formalità.
A giocarsi il titolo, gli avversari di tante battaglie: i Detroit Lions. Guidati dal nuovo head coach George Wilson, i Lions alternavano nel ruolo di quarterback titolare Bobby Layne e Tobin Rote. Pezzo forte era la safety Jack Christiansen, che in quella stagione totalizzò 10 intercetti. I Lions chiusero la stagione regolare con 8 vittorie e 4 sconfitte, in testa alla Western Division a pari merito con San Francisco.
Lo spareggio per assegnare il titolo della Western Division, giocatosi a San Francisco, fu una delle partite più emozionanti di sempre.
Nei primi 30 minuti ci fu il dominio dei 49ers, che arrivarono all’intervallo in vantaggio per 24-7. Il quarterback dei 9ers, Y.A.Tittle, aveva già lanciato 3 passaggi in TD, e la difesa di Detroit non riusciva ad arginare in alcuna maniera né il gioco aereo, né le corse di Hugh McElhenny e R.C. Owens. A sua volta, l’attacco dei Lions andava a sbattere invano contro la difesa dei californiani, imperniata sul tackle Leo Nomellini.
Ma durante l’halftime scattò qualcosa: i giocatori dei Lions sentirono attraverso le pareti del Kezar Stadium le grida degli avversari già in festa.
“Ascoltate quei figli di puttana”, ruggì Joe Schmidt, linebacker di Detroit.
I suoi compagni di squadra ascoltarono e reagirono.
“Se fossimo stati avanti per 24 a 7, penso che avremmo celebrato pure noi”, disse Christiansen.
Ma i Lions sembrarono con più di un piede nella fossa quando nella prima azione del terzo quarto Hugh McElhenny si involò per 71 yards, prima di essere fermato sulle 7.
A quel punto la difesa si dette una mossa, costringendo i 49ers a calciare un field goal con Gordy Soltau, che portò il punteggio sul 27-7.
Quella goal line stand diede linfa vitale ai Lions, che riuscirono a segnare ben 21 punti (2 TD su corsa di Tom “The Bomb” Tracy e uno di Gene Gedman) in soli 4:29 a cavallo tra il terzo e l’ultimo quarto.

Nell’ultimo periodo, Tittle subì 3 intercetti, e uno di questi fu ritornato da Joe Schmidt fino alle 2 yards, propiziando il field goal di Jim Martin che fissò il punteggio sul 31-27 per Detroit. Fu il sigillo finale su una delle più grandi rimonte della storia.
Molti pensarono che i Lions non avessero più benzina in corpo , ma la puntuale smentita arrivò nel Championship Game, quando Tobin Rote lanciò per 280 yards e 4 TD (aggiungendo anche un TD su corsa). La difesa propiziò 6 intercetti e riuscì a limitare Jim Brown a sole 69 yards. Risultato finale al Briggs Stadium, Detroit 59, Cleveland 14.

Gente che va, gente che viene

Dopo una pausa di due anni, nel 1958 George Halas tornò ad assumere le vesti di head coach dei Chicago Bears, dichiarando di avere in mente “Un po’ di roba che vorrei provare”.
Così spostò John “Paddy” Driscoll nel front office e riprese le redini, portando i suoi ad un record di 8-4, che non fu però sufficiente per la vittoria della Western Division, che andò ai Baltimore Colts.
Nella Eastern Division, i Giants sconfissero i Browns 10-0, avanzando al Championship Game, grazie ad una prestazione super della difesa, che limitò Jim Brown alla miseria di 8 yards.
Il Championship Game del 1958, che vide il successo dei Colts per 23-17 dopo un supplementare, è considerato l’incontro che diede la definitiva popolarità alla NFL. Ironia della sorte, gran parte del pubblico televisivo della Big Apple si perse le fasi cruciali a causa di un black out.
Verso l’inizio della stagione 1959, morì copo lunga malattia Tim Mara, fondatore e proprietario dei New York Giants. La gestione della franchigia restò in famiglia, passando nelle mani dei figli Jack e Wellington Mara.
Poco tempo dopo morì l’uomo che aveva guidato la NFL nel suo periodo di maggiore sviluppo: il commissioner Bert Bell. Per uno scherzo del destino, Bell era al Franklin Field per assistere ad una partita tra Eagles e Steelers (le due squadre in cui era stato coinvolto) quando ebbe l’attacco cardiaco che gli fu fatale.

Controllo totale

A Green Bay, i Packers fecero la mossa che avrebbe cambiato per sempre il proprio destino. Dopo 12 stagioni perdenti consecutive (con il fondo toccato nel 1958, record di 1-10-1), il comitato esecutivo ingaggiò come head coach Vince Lombardi .
Lombardi aveva nobili trascorsi come giocatore di college football: aveva giocato a Fordham nel ruolo di guardia (faceva parte dei celebri “Sette blocchi di granito”). La sua carriera da coach iniziò alla St.Cecilia’s High School di Englewood, New Jersey, per poi proseguire a Fordham (dove allenò i freshmen e fu assistente della varsity team) e nell’Esercito, come assistente di Earl “Red” Blaik. Poi si unì ai New York Giants come offensive coordinator, mettendo a punto quella che sarà il suo marchio di fabbrica: la power sweep.

Giunto a Green Bay, Lombardi mise in chiaro le cose fin dal principio. Al primo incontro con la squadra dichiarò: “Qui ho il controllo totale. Signori, non sono mai stato associato ad una squadra perdente. E non voglio iniziare ora”.
E fu di parola: nel 1959 i Packers tornarono ad avere un record positivo (7-5). Non avrebbero conosciuto una stagione perdente fino al 1968, primo anno del dopo-Lombardi. Durante quelle 9 stagioni, i Packers realizzarono un record di 98-30-4, vincendo 5 Championships, inclusi i primi 2 Super Bowl della storia.
I primi Packers di Lombardi avevano Bart Starr come quarterback, Paul Hornung come halfback, Jim Taylor come fullback, il flanker Boyd Dowler e lo split end Max McGee come ricevitori e una linea offensiva che figurava Forrest Gregg, Jim Ringo, Fred “Fuzzy” Thurston e Jerry Kramer.

Johnny U

Nei primi mesi del 1959 Lamar Hunt, petroliere di Dallas, chiese a George Halas, membro del comitato di espansione, e al commissioner Bert Bell la possibilità di creare una nuova franchigia a Dallas. Ma la risposta fu negativa: la NFL non si sentiva ancora pronta a una tale evenienza. Allora Hunt, che nel frattempo cercò invano di acquistare i Chicago Cardinals, decise di creare una nuova lega. Il 14 Agosto di quell’anno organizzò un meeting nella Windy City, a cui parteciparono Bud Adams (rappresentante di Houston), Max Winter e William Boyer (Minnesota), Bob Howsam (Denver), Barron Hilton (Los Angeles) e Harry Wismer (New York). Otto giorni dopo, durante un’altra riunione, fu fondata la American Football League. Qualche mese dopo a queste franchigie si sarebbero aggiunte quelle di Buffalo, Boston e Oakland, quest’ultima quando Minnesota si unì alla NFL.
La stagione NFL 1959 si concluse con una rivincita del Championship dell’anno precedente. La partita questa volta si giocò al Memorial Stadium di Baltimore, davanti a 57.545 spettatori, e vide il successo dei Colts sui Giants per 31-16.
Nel primo quarto Johnny Unitas trovò Lenny Moore con un passaggio in touchdown da 60 yards. Dopodichè l’attacco dei Colts si inceppò, favorendo il sorpasso dei Giants che, con 3 field goals di Pat Summerall, si portarono sul 9-7 all’inizio dell’ultimo quarto.
La difesa dei Cols fermò sulle proprie 28 yards il 4&1 dei G-Men, e Unitas salì in cattedra. Prima segnò di persona il TD del sorpasso, con una corsa di 4 yards, poi 5 minuti dopo lanciò un passaggio da 12 yards per il Td di Jerry Richardson. Il cornerback Johnny Sample ci mise il suo riportando un intercetto per 42 yards in TD, per fissare il punteggio sul 31-16 finale.
“In quella partita li surclassammo” dichiarò Art Donovan. “Giocammo spavaldi e li spazzammo via”.

Bibliografia

- 75 Seasons
- The Fireside Book of Pro Football
- http://www.nfl.com/history
- http://www.profootballhof.com
- http://nflhistory.net/

Decades | by Roberto Petillo | 06/03/07

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