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Super Bowl XXIII

Considerando gli oltre quaranta Super Bowl disputati, l’edizione numero 23 è senza dubbio una di quelle che vengono ricordate con più emozione dagli appassionati: il drive vincente finale orchestrato da Joe Montana è uno dei momenti più celebri e drammatici nell’intera storia della NFL.

Quel Super Bowl fu molto particolare e per certi versi strano: se un qualunque tifoso avesse analizzato i dati statistici della partita senza saperne il risultato finale, avrebbe immediatamente pensato ad un agevole successo dei San Francisco 49ers e all’ennesimo massacro subito da parte della compagine della AFC; incredibilmente, i Cincinnati Bengals riuscirono non solo a spaventare la squadra californiana, ma arrivarono a soli 34 secondi dal trionfo.

In queste pagine, verrà raccontato il Super Bowl XXIII, cercando di far rivivere le emozioni che si verificarono il 22 gennaio 1989. La sede di questo storico incontro fu Miami, che tornò ad essere teatro del Super Bowl dopo un’assenza di dieci anni: la città della Florida aveva già organizzato cinque edizioni della finale nel vecchio Orange Bowl, ma questa volta la sede sarebbe stato il nuovissimo Joe Robbie Stadium.

La NFC era rappresentata dai San Francisco 49ers : la compagine della California aveva già conquistato due titoli negli anni ’80 , tuttavia dopo il trionfo del 1984, non era più riuscita a vincere un solo incontro di playoff; estremamente imbarazzante fu il 49-3 che fu inflitto dai New York Giants durante la post-season del 1986. La stagione regolare 1988 vide i 49ers conquistare la vetta NFC West, eppure il bilancio finale (10-6) indica chiaramente un cammino complesso: il titolo divisionale fu conquistato solo grazie ad un bilancio favorevole contro i Los Angeles Rams e i New Orleans Saints, questi ultimi esclusi dalla post-season.

A guidare l’attacco c’era ovviamente Joe Montana , la cui posizione, in verità, era tutt’altro che sicura: dopo il gravissimo infortunio alla schiena del 1986 e l’arrivo di Steve Young un anno più tardi, a San Francisco si era verificata una dura lotta per il posto di quarterback; soltanto sul finire della stagione 1988, Montana fu certo di essere il regista titolare. Joe Cool chiuse la regular season con 2.981 yards lanciate, 59.9% di completi (assieme al 1979, unico anno con una percentuale sotto il 60%), 18 touchdown e 10 intercetti. L’attacco dei 49ers era piuttosto diverso se paragonato a quello di quattro anni prima: la coppia di ricevitori formata da Dwight Clark e Freddie Solomon era stata sostituita da Jerry Rice e John Taylor, mentre il ruolo di fullback era passato da Wendell Tyler a Tom Rathman. Anche la linea d’attacco aveva subito delle modifiche: soltanto Randy Cross era stato titolare durante la vittoria dei 49ers contro Miami nel Super Bowl XIX. Assieme a Montana, l’unico “vero” superstite del 1984 era Roger Craig, che nel 1988 disputò la migliore stagione della sua carriera, come dimostrato dalle seguenti statistiche: 1.502 yards su corsa con una media di 4.8 per portata e 76 ricezioni; non a caso, Craig ricevette il premio come NFL Offensive Player of the Year.

Come sempre a San Francisco, la difesa è spesso oscurata, tuttavia anche quel reparto era estremamente efficace: il defensive end Charles Haley, il linebacker Keena Turner, i defensive backs Ronnie Lott e Tim McKyer sono solo alcuni nomi di quella eccezionale squadra. Nonostante una regular season stentata, i 49ers esplosero nei playoff: i Minnesota Vikings subirono un pesante 34-9 al Candlestick Park, mentre i Chicago Bears dovettero inchinarsi per 28-3 al Soldier Field.

Dall’altra parte del tabellone, arrivarono i sorprendenti Cincinnati Bengals, una compagine che dopo la partecipazione al Super Bowl XVI aveva ottenuto ben poco: nel 1987, i Bengals avevano compilato un bilancio di 4-12, che li relegò nei bassifondi della AFC. L’anno seguente, invece, fu completamente diverso: Norman “Boomer” Esiason disputò un campionato eccezionale che gli valse il titolo di MVP: il quarterback proveniente dall’Università di Maryland lanciò per 3.572 yards con 28 TD e appena 14 intercetti, compilando un rating di 97.4. L’altra star dell’attacco fu il rookie Ickey Woods, che guadagnò la fama non solo per le 1.016 yards corse, ma soprattutto per la Ickey Shuffle, un balletto con cui veniva celebrato ogni suo touchdown (15 in stagione e 3 nei playoff). Questa danza non era certo un “belvedere” (il compagno Chris Collinsworth la definì: “so awful it’s perfect”), tuttavia entrò ben presto nei cuori dei tifosi. L’attacco era comunque protetto da un’eccezionale linea d’attacco in cui brillavano le stelle di Anthony Muñoz e Max Montoya, due dei pochi superstiti del Super Bowl XVI. I Bengals arrivarono alla finale dopo avere sconfitto Seattle per 21-13 (approfittando di una mancata trasformazione del kicker dei Seahawks) e Buffalo per 21-10.

La sfida tra 49ers e Bengals era affascinante per diversi motivi: innanzi tutto era la rivincita del Super Bowl XVI, vinto dai Californiani per 26-21; in quella partita, San Francisco aveva chiuso il primo tempo in vantaggio per 20-0, ma nella seconda metà Cincinnati si era riportata sotto e solo grazie ad alcune eccellenti giocate difensive, i campioni NFC riuscirono a vincere il titolo.

Un altro tema del Super Bowl XXIII era lo scontro tra i due head coach: Sam Wyche, allenatore dei Bengals, era stato per molto tempo legato a Bill Walsh; fino al 1982, Wyche era stato il tecnico dei quarterbacks a San Francisco, quindi conosceva molto bene l’attacco dei 49ers. Giunto a Cincinnati nel 1984, Wyche fu tra i primi coach ad impiegare stabilmente il no-huddle offense. Nei giorni precedenti alla finale, gli osservatori avevano previsto una partita ad alto punteggio: i due attacchi erano troppo dominanti, sebbene le difese fossero ottime; una delle poche voci contrarie era quella di Bill Walsh, convinto che i reparti offensivi avrebbero avuto numerosi problemi.

49ers e Bengals non si erano affrontate durante la stagione regolare, eppure l’anno precedente si era disputato un incontro emozionante, vinto da San Francisco nei momenti finali: in vantaggio per 26-20 a sei secondi dal termine, Wyche decise di giocare un 4th and 25 sulle proprie 30 yards, in modo tale da evitare un punt bloccato oppure un lungo ritorno; purtroppo, il running back James Brooks fu placcato, lasciando a Montana due secondi per un passaggio vincente in endzone.

I giorni precedenti al Super Bowl non furono propriamente positivi per le due squadre: durante l’allenamento del lunedì, Jerry Rice subì un infortunio alla caviglia, che lo costrinse al riposo per oltre tre giorni; il suo impiego nella finale non era assolutamente certo. Ancora peggiore era la situazione in casa Bengals: la sera prima della partita, il running back Stanley Wilson fu trovato nella sua camera d’albergo privo di sensi a causa di una overdose per cocaina: coach Wyche fu ovviamente costretto a toglierlo dal roster. Avendo già subito delle squalifiche per droga nel 1985 e nel 1987, Stanley Wilson fu radiato dalla NFL.

Miami, Joe Robbie Stadium, 22 gennaio 1989: tutto era pronto per il Super Bowl XXIII. San Francisco vinse il sorteggio e decise di ricevere il pallone. Per il primissimo gioco dalla linea di scrimmage, Bill Walsh preparò una sorpresa: Montana consegnò l’ovale a Roger Craig, che a sua volta lo consegnò a Rice per una reverse. Due giochi più tardi, tuttavia, San Francisco fu colpita da uno sfortunato evento: il defensive tackle David Grant spinse violentemente il QB dei 49ers, che cadde sulla gamba di Steve Wallace: l’offensive tackle subì una frattura alla caviglia e dovette essere portato fuori dal campo in barella. San Francisco fu costretta ad un punt e dovette consegnare la palla a Cincinnati.

Il primo drive dei Bengals fu piuttosto mediocre, tuttavia il successivo punt di Lee Johnson fu perfetto: Joe Montana avrebbe dovuto iniziare il suo secondo drive a sole tre yards dalla propria linea di meta. Nel primo gioco, Joe Cool consegnò la palla a Roger Craig, che guadagnò otto yards prima di essere placcato dal NT Tim Krumrie. Finita l’azione, il defensive lineman di Cincinnati rimase disteso per terra, incapace di rialzarsi: il perone e la tibia si erano fratturati, così i Bengals furono privati del loro leader difensivo. Krumrie volle a tutti costi restare negli spogliatoi per vedere la partita, ma al termine del primo tempo i medici ordinarono un urgente ricovero in ospedale.

Questo evento colpì Cincinnati: Montana iniziò a muovere la palla, arrivando sulle 24 yards avversarie: sul 1st and 10, Joe passò la palla al WR Mike Wilson, che la ricevette a due yards dalla endzone. Inizialmente gli arbitri assegnarono un 1st and goal, tuttavia dopo la visione dell’instant replay, la decisione fu cambiata: Wilson non aveva, infatti, mai avuto il sicuro possesso dell’ovale. La difesa dei Bengals riuscì a resistere e forzò i 49ers ad un field goal: Mike Cofer segnò il 3-0 per San Francisco.

La palla tornò a Cincinnati, che però fu costretta al punt dopo appena cinque giochi; Montana rientrò in campo sulle 30 avversarie e riprese il discorso dove lo aveva interrotto: una spettacolare ricezione ad una mano di Rice e una di Craig portarono i 49ers sulla metà campo, quando si chiuse il primo quarto. Montana continuò l’avanzata del suo attacco, ma ancora una volta i Bengals riuscirono ad evitare la segnatura pesante: sul 4th and 1 ad appena due yards dal touchdown, Bill Walsh decise di mandare in campo lo special team e realizzare tre punti, piuttosto che rischiare il quarto down alla mano. Purtroppo, l’esperto Randy Cross (giunto all’ultima partita della carriera) sbagliò lo snap, rompendo il ritmo di Cofer: il FG fu completamente sbagliato e Cincinnati si era salvata.

San Francisco aveva marciato sul campo con molta facilità, eppure era in vantaggio di appena 3 punti. L’attacco dei Bengals, però, era ancora freddo e il punt fu inevitabile: John Taylor indovinò uno spettacolare ritorno da 45 yards, regalando ai campioni NFC un’altra posizione eccellente. Questa volta però, Roger Craig perse un fumble che per Cincinnati avrebbe potuto significare un cambio d’inerzia della gara: l’attacco, invece, non riuscì ad avanzare, mentre Esiason era in chiara difficoltà. A 4 minuti dal termine del primo tempo, Cincinnati rientrò in attacco: una ricezione di Tim McGee da 18 yards e alcune buone corse di Ickey Woods regalarono a Jim Breech l’opportunità del FG del 3-3. Su questo punteggio, i giocatori rientrarono negli spogliatoi.

I primi 30 minuti di gioco erano stati avari di emozioni: per la seconda volta in assoluto (SB IX), i due quarti iniziali erano stati privi di touchdown; San Francisco aveva sostanzialmente dominato (11 primi down contro 5; 181 yards di total offense contro 93), eppure il punteggio era di perfetta parità. Rice e Craig stavano creando enormi problemi alla difesa avversaria, ma tutto quello che era stato raccolto dai 49ers era un misero calcio da 3 punti. Cincinnati, quindi, poteva dichiararsi soddisfatta, nonostante le evidenti difficoltà di Boomer Esiason.

I Bengals, inoltre, avrebbero avuto il primo possesso del terzo quarto: Woods corse piuttosto bene, Esiason completò due passaggi da oltre 20 yards, e così i campioni AFC arrivarono sulle 25 yards avversarie, permettendo a Jim Breech di segnare il FG del 6-3. Nonostante tutte le difficoltà, i Bengals erano in testa! Quando a poco più di 2 minuti dal termine del terzo quarto, San Francisco fu costretta al punt, Cincinnati poteva a ragione dichiararsi in controllo della partita.

Invece, sul 1st and 10 sulle proprie 19 yards, Esiason commise un gravissimo errore: spostatosi sulla sinistra per effettuare un passaggio a Tim McGee, il QB lanciò un pallone che fu prima alzato e poi intercettato dal giovanissimo linebacker Bill Romanowski; il rookie aveva regalato a Joe Montana un 1st and 10 a sole 23 yards dal touchdown. Ma ancora una volta, l’attacco dei 49ers si bloccò: l’errore principale fu una mancata ricezione di Jerry Rice, che libero da ogni marcatura, si lasciò sfuggire il pallone dalle mani. San Francisco si accontentò di un FG da 3 punti e per Cincinnati un nuovo pericolo fu scampato.

Mancavano 34 secondi al termine del terzo quarto e la partita aveva visto appena quattro FG: mai prima d’ora un Super Bowl aveva dovuto attendere tanto tempo prima di vedere una meta! Gli osservatori erano alquanto delusi dal gioco espresso dalle due squadre: anche se il risultato era ancora incerto, la qualità della partita aveva lasciato molto a desiderare. La cosa più sorprendente era il fatto che i 49ers fossero avanzati sul campo a proprio piacimento (o quasi) per poi fermarsi nelle yards finali: l’attacco di San Francisco si era sempre distinto per la sua efficacia nella red zone avversaria, eppure il Super Bowl XXIII pareva diverso.

Il gioco riprese con il kickoff calciato da Mike Cofer, che fu raccolto da Stanford Jennings sulle proprie 7 yards: qualche blocco favorevole al centro del campo e per il ritornatore la via verso la endzone era aperta! Cincinnati aveva segnato un touchdown, portandosi sul 13-6. Quella fu la miccia che accese l’incontro: l’ultimo gioco del quarto vide un passaggio di 31 yards per Rice, che seguito da una ricezione da 40 yards per Craig a campi invertiti, portò San Francisco sulle 14 avversarie.

Il gioco seguente fu uno degli eventi chiave del Super Bowl, quando Montana forzò un passaggio in endzone: il CB Lewis Billups riuscì ad intuire le intenzioni di Joe Cool e mise le mani sulla palla, ma la fece cadere; Billups avrebbe potuto diventare il primo difensore ad intercettare un passaggio di Joe Montana . Scampato il pericolo, il QB italo-americano completò un perfetto passaggio sulla sinistra per Jerry Rice, che prossimo ad uscire fuori dal campo, riuscì a far passare la palla all’interno della endzone: il movimento di Rice fu sublime e ancora oggi meraviglia gli osservatori.

Tornati in parità, i 49ers forzarono Cincinnati ad un nuovo punt: Montana, rinfrancato dal TD pass, poteva riportare la sua squadra in vantaggio. Rice completò una ricezione da 44 yards, ma per l’ennesima volta l’attacco dei campioni NFC si fermò: complice una mancata ricezione di John Taylor, Mike Cofer fu costretto a calciare un FG da 49 yards, che purtroppo non fu preciso; il punteggio era ancora fermo sul 13-13.

L’attacco dei Bengals ripartì dalle proprie 32 yards: due passaggi di Esiason da 17 e 12 yards portarono Cincinnati nel territorio favorevole, permettendo a Jim Breech di calciare il FG del 16-13. Quando sul kickoff seguente, i 49ers furono penalizzati per blocco illegale e obbligati a ripartire dalle proprie 8 yards con 3:20 sul cronometro, il Super Bowl pareva finito.

Eppure c’era qualcosa nell’aria che diceva il contrario! Montana era lo specialista delle rimonte ed alcune di queste (come la finale NFC del 1981 contro Dallas) erano entrate nella storia della NFL. Sulla sideline, il cornerback Don Griffin abbracciò il proprio compagno Ronnie Lott, gridandogli “You Gotta Believe! We’re gonna win this one” . Sentendo quelle parole, Lott rimase molto meravigliato: nella famosa partita contro i Cowboys, il defensive tackle Archie Reese gli aveva pronunciato esattamente le stesse cose. Anche sulla sponda opposta, nonostante il vantaggio, c’era un certo timore: quando si levò una voce “We got ‘em!” , Chris Collinsworth prontamente chiese “C’è per caso il numero 16 nell’huddle?” : alla risposta affermativa, il WR affermò: “Then, we haven’t got ‘em!”

E così uno dei più incredibili drive nella storia della NFL poté incominciare: inizialmente Montana fu piuttosto calmo, preferendo conquistare poche yards alla volta, ma avanzare regolarmente; il primo scopo era quello di arrivare in raggio da field goal e impattare l’incontro. Raggiunte le proprie 35 yards, Montana aprì il gioco: con due passaggi da 17 e 13 yards per Rice e Craig, Montana arrivò sulle 35 avversarie. Le due azioni susseguenti, però, non ebbero un risultato positivo: dapprima Montana fu colpito da problemi respiratori, che gli causarono alcuni problemi alla vista; piuttosto che perdere il pallone, Joe Cool preferì lanciare un incompleto, nonostante Rice fosse libero. Il gioco seguente, invece, fu caratterizzato dal secondo errore di Randy Cross: dopo avere effettuato quel cattivo snap nel secondo quarto, il centro fu penalizzato per essersi trovato troppo in profondità (illegal man downfield). Se i 49ers avessero perso, Cross sarebbe stato sicuramente uno dei capri espiatori e avrebbe chiuso un’illustrissima carriera su una nota negativa.

Sul 2nd and 20, Montana trovò Jerry Rice, che nonostante una tripla copertura raccolse il pallone in mezzo al campo per poi avanzarlo fino alle 18 yards: solo un placcaggio disperato di Rickey Dixon evitò il touchdown. Montana era intenzionato a chiamare il secondo timeout (mancavano 58 secondi al termine), ma il gioco proseguì: Roger Craig completò una ricezione sulle 10 yards e non appena fu placcato, i 49ers fermarono l’avanzata del cronometro.

Sulle sideline, sugli spalti e davanti ai televisori, l’emozione era incredibile: Montana era pronto per completare il suo capolavoro. I Bengals, ormai in chiara difficoltà, si concentrarono su Jerry Rice, ma Bill Walsh li seppe sorprendere: il gioco “20 halfback curl, X up” prevedeva come ricevitore primario Roger Craig, ma allo stesso tempo forzava le safeties a dividersi. John Taylor fu posizionato come tight end e corse in avanti: il movimento delle safety lo lasciò libero, permettendo a Joe Montana di effettuare un passaggio perfetto. Taylor ricevette il primo pallone della serata e per i 49ers fu il trionfo. La safety David Fulcher ammise di essersi accorto di quella giocata troppo tardi: rendendosi conto di cosa stesse succedendo, gridò: “NOOOO” , ma era troppo distante (two steps) da Taylor per evitare la ricezione.

Sul cronometro c’erano ancora 34 secondi, ma Esiason non era assolutamente in grado di effettuare la rimonta: l’ultimo gioco del Super Bowl fu un hail mary pass che fu facilmente difeso dalla secondaria di San Francisco, che poteva esultare per il terzo trionfo nella decade. Per i Bengals, la sconfitta fu molto amara, ma i 49ers avevano vinto meritatamente: l’immagine più emozionante del dopo partita fu l’abbraccio tra i due allenatori. Per Bill Walsh, la carriera poteva chiudersi alla grande: aveva appena vinto il terzo Super Bowl della sua carriera, risultato che lo pone dietro al solo Chuck Noll dei Pittsburgh Steelers. Joe Montana era definitivamente entrato nella leggenda della NFL: le sue statistiche (23 su 36, 357 yards, 2 TD) e il meraviglioso drive finale (8 su 9 per 97 yards) furono il marchio di una carriera inimitabile.

In verità, il titolo di MVP fu assegnato a Jerry Rice, che travolse la secondaria di Cincinnati con 11 ricezioni, 215 yards e un touchdown spettacolare. Tuttavia, negli spogliatoi il grande ricevitore #80 ammise che la chiave del successo era stato indubbiamente Joe Montana . Non va dimenticato anche Roger Craig, che con 172 yards tra corse e ricezioni (71+101), fu sempre una spina nel fianco degli avversari. Totalmente diverso fu l’apporto di Boomer Esiason, che non entrò mai in partita: 11 su 25, 144 yards, 1 INT sono numeri che indicano tutte le difficoltà dell’attacco dei Bengals, in cui il solo Ickey Woods (79 yards in 20 portate) riuscì a produrre qualcosa. Paragonando le statistiche delle due squadre si notano delle differenze abissali: 453 yards contro 229, 23 primi downs contro 13 dimostrano la netta superiorità di San Francisco. Eppure, i Bengals riuscirono a rimanere a contatto e un loro eventuale successo sarebbe stato un risultato incredibile. La colpa dei 49ers fu quella di lasciare in partita campioni AFC nei primi due quarti: se San Francisco avesse segnato il TD del 10-0 (giocando alla mano quel 4th and 1), ma anche se il FG del 6-0 fosse stato realizzato, i Bengals non avrebbero avuto la forza per rimontare. Un anno più tardi, il Super Bowl XXIV presentò dati molto simili, che non a caso testimoniarono il nettissimo successo dei 49ers sui Broncos.

L’ultima nota ovviamente va al grandissimo Joe Montana , che, come disse Flavio Tranquillo durante la telecronaca per Italia 1, effettuò “un ultimo drive che sarà per sempre scritto a caratteri d’oro nella storia della NFL” . La frase di Tranquillo fu correttissima, infatti, ancora oggi quella serie è nel cuore di tutti gli appassionati. Le parole finali, tuttavia, quelle con cui questo articolo andrà a chiudersi, sono quelle di Randy Cross: “If every game was a Super Bowl, Montana would be undefeated” .

Il Play By Play dell’ultimo drive

San Francisco (3:20)
Johnson kick to goal line, Rodgers 15 return. San Francisco penalized 7 (half the distance) for illegal block.
SF 8 1–10 (3:10) Montana 8 pass to Craig middle (Zander).
SF 16 2–2 Montana 7 pass to Frank middle (Zander).
SF 23 1–10 Montana 7 pass to Rice right (Billups).
SF 30 2–3 Craig 1 run right (Barker). Two–Minute Warning.
SF 31 3–2 Craig 4 run off right tackle (McClendon). San Francisco–first time out (1:54).
SF 35 1–10 Montana 17 pass to Rice left (out of bounds).
C 48 1–10 (1:49) Montana 13 pass to Craig middle (Barker).
C 35 1–10 Montana pass to Rice incomplete.
C 35 2–10 Montana 5 pass to Craig. Play nullified and San Francisco penalized 10 for illegal man downfield (Cross).
C 45 2–20 (1:17) Montana 27 pass to Rice middle (Dixon).
C 18 1–10 Montana 8 pass to Craig middle (Horton). San Francisco–second time out (:39).
C 10 2–2 Montana 10 pass to Taylor middle, touchdown (:34). Cofer kicked extra point.
San Francisco scoring drive: 92 yards, 11 plays, 2:46.

Note

- Durante i commenti del dopo partita, Don Shula, intervistato dalla NBC, si riferì a John Taylor, chiamandolo Turner.

- Lewis Billups, sfortunato protagonista di quella partita, morì in un incidente stradale nel 1994 a soli 31 anni.

- Il figlio di Stanley Wilson, Stanley Wilson jr, è un defensive back e dal 2005 gioca nella NFL.

- L’halftime presentò uno show in cui gli spettatori da casa, indossando degli speciali occhiali, potevano ammirare uno spettacolo tridimensionale.

Bibliografia

- The Super Bowl – Celebrating a Quarter-Century of America’s Greatest Game
- Super Bowl – Sport’s Greatest Championship (Sports Illustrated)

Great_Games | by Stefano Quaino | 20/09/07

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