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The Sea of Hands

1974 AFC Divisional Playoff Game : Oakland Raiders – Miami Dolphins

21 Dicembre 1974, Oakland Alameda County Coliseum, Oakland, California
52.817 spettatori

Secondo gli addetti ai lavori dell’epoca, il Divisional Playoff Game del 1974 tra Oakland Raiders e Miami Dolphins fu “il vero Super Bowl” o anche il Super Bowl “VIII e mezzo” , sebbene nessuna di queste due contendenti sarebbe poi riuscita a conquistare l’accesso all’atto finale.
I Dolphins erano reduci da tre Super Bowl consecutivi: dopo aver perso il Super Bowl V contro Dallas, riuscirono a vincere il Super Bowl VI e il VII diventando la seconda franchigia dopo i leggendari Green Bay Packers di Vince Lombardi a vincerne due di fila.
Per Miami l’uomo della svolta fu l’head coach Don Shula che, strappato nel 1970 ai Baltimore Colts, riuscì a trasformare in breve tempo la neonata franchigia della Florida in una dinastia.

Molti pensavano che i Dolphins avrebbero avuto la strada spianata verso il terzo titolo consecutivo se avessero superato i Raiders, gli altri grandi favoriti.
Nella stagione 1974 questi ultimi persero soltanto 2 partite, spinti dalla voglia di scrollarsi di dosso la fama di squadra incapace di vincere le partite cruciali.
Sei anni prima avevano perso il Super Bowl II contro i Green Bay Packers, ma nonostante ciò, parecchi prevedevano per loro un radioso futuro. In 6 delle 8 stagioni seguenti sarebbero arrivati ad un solo passo dal Super Bowl, stabilendo un record davvero significativo ma al tempo stesso poco invidiabile.
Il demiurgo di quella squadra era ovviamente Al Davis, uomo la cui unica ossessione era vincere il titolo NFL. Ogni altro risultato era considerato un insuccesso, perfino la vittoria del Championship AFC.
Il 1974 sembrava l’anno buono, e la tentazione di fare strada nei playoffs eliminando proprio i Dolphins bicampioni del mondo era davvero irresistibile.
La dinastia di Miami, dal canto suo, era destinata a finire di lì a poco. Ben tre pilastri dell’attacco stavano per lasciare la Florida per ascoltare le sirene della neonata World Football League. Questi erano il fullback Larry Csonka, l’uomo sulle cui spalle si poggiava buona parte dell’attacco dei Dolphins e che aveva demolito la temibile difesa dei Minnesota Vikings nel Super Bowl VII, il wide receiver Paul Warfield e il running back Jim Kiick.
I Dolphins erano una squadra concreta e con pochi fronzoli in attacco, e compatti in difesa grazie al lavoro del defensive coordinator Bill Arnsparger, divenuto proprio nel 1974 head coach dei New York Giants. Quella difesa, che rappresentava una variazione su un tema in voga nel college football, era priva di nomi altisonanti tanto che divenne celebre come “No Name Defense” o anche “53 Defense”, dal numero di maglia di Bob Matheson. Questi rappresentava una pedina chiave di quello schieramento, dato che veniva impiegato come defensive end nella formazione 4-3 o come outside linebacker nella 3-4, introducendo una variabile di difficile decifrazione per gli attacchi avversari.
I Raiders avevano un’impostazione offensiva più varia e bilanciata di quello dei Dolphins, alternando le corse del potente Marv Hubbard e dell’agile Clarence Davis ai passaggi per il velocissimo Cliff Branch e il tenace Fred Biletnikoff , il cui stile ricordava quello del leggendario Raymond Berry dei Baltimore Colts.
Il quarterback titolare era Ken Stabler, detto “The Snake”, un mancino furbo e fantasioso che si sarebbe rivelato come uno dei migliori clutch players di sempre.

La difesa invece non era certo irresistibile (settima in assoluto nella AFC), avendo concesso più di 300 yards a partita in quella stagione.
Per questo motivo, c’erano tutte le premesse per un grande spettacolo offensivo.
Una radio locale invitò tutti i fans ad indossare e a sventolare qualcosa di nero: il Coliseum era un oceano di gente che agitava asciugamani neri, mentre le fans più indemoniate furono viste sventolare reggiseni di quello stesso colore.
“Al Coliseum non ho mai più sentito un pubblico più rumoroso di quello che ci accolse durante l’ingresso in campo. Lo stadio si sollevò da terra”, avrebbe ricordato Al Lo Casale, veterano del front office dei Silver & Black.
I Raiders effettuarono il kickoff e il ritornatore dei Dolphins, Nat Moore, prese possesso della palla sulle proprie 11 yards per poi involarsi indisturbato sulla sinistra per il touchdown. Erano trascorsi appena 15 secondi e Miami era già in vantaggio 7-0. Il rumore degli oltre cinquantamila spettatori svanì di colpo.
Il punteggio restò invariato fino al secondo quarto, quando Stabler finalmente riuscì a condurre un drive efficace. Prima un passaggio di 9 yards per Fred Biletnikoff , poi una corsa di 5 yards del fullback Marv Hubbard. L’azione successiva fu un passaggio centrale di 9 yards per lo stesso Hubbard, seguito da un guadagno di 10 yards grazie ad una corsa sulla sinistra di Clarence Davis. La linea offensiva dei Raiders, formata dai tre futuri hall of famers Art Shell, Gene Upshaw e Jim Otto , oltre che da John Vella e George Buehler, cominciò ad ingranare seriamente tenendo a bada la difesa dei Dolphins. Il touchdown del pareggio fu segnato dal running back Charlie Smith, che percorse una traiettoria centrale per ricevere un passaggio calibrato di Stabler da 31 yards, battendo la copertura del linebacker Nick Buoniconti.
Oakland 7, Miami 7.
I Dolphins risposero alla loro solita maniera, con il gioco di corsa dei runners Larry Csonka, Jim Kiick e Benny Malone, riuscendo a riportarsi avanti per 10-7 grazie ad un field goal da 33 yards di Garo Yepremian quando mancava solo 1:01 all’intervallo.
I Raiders tornarono in vantaggio nel terzo quarto grazie ad un prodigio di Fred Biletnikoff: il baffuto receiver scattò nella end zone percorrendo una traccia sul lato destro, fronteggiando la copertura del cornerback Tim Foley. Biletnikoff agguantò con una sola mano il lancio di Stabler, per poi anticipare di un soffio l’intervento di Foley restando in campo per pochissimi millimetri: l’extra point di George Blanda portò il punteggio sul 14-10 per Oakland.

La risposta di Miami fu repentina, con un passaggio di Bob Griese per il touchdown di Paul Warfield. Il gigantesco defensive end Bubba Smith (che in seguito avrebbe avuto una fortunata carriera cinematografica) riuscì a bloccare l’extra point di Garo Yepremian: Miami 16, Oakland 14.
I Dolphins incrementarono il proprio vantaggio nell’ultimo periodo, grazie ad un field goal da 46 yards dello stesso Yepremian: Miami 19, Oakland 14.
A quel punto la partita decollò davvero.
A 4:54 dalla fine, i Raiders iniziarono un nuovo drive dalle proprie 17. Ken Stabler completò un passaggio da 11 yards per Fred Biletnikoff , conquistando il primo down. Nell’azione successiva, Stabler imbeccò sul profondo Cliff Branch, sulla sideline sinistra sulle 27 di Miami. Branch ricevette il passaggio in tuffo, mandando a vuoto la copertura del cornerback Henry Stuckey. La palla era ancora viva, dato che né Stuckey né alcun altro difensore dei Dolphins aveva toccato Branch, che si rialzò e si involò per le rimanenti yards che lo separavano dal touchdown.
“Sapevo che nel football professionistico puoi rialzarti e riprendere a correre se nessuno ti ha toccato”, ricordò Branch. “Facevo questo in allenamento tutte le volte che cadevo da solo. Provavo a rialzarmi e a correre di nuovo. Quella fu la volta in cui fui ripagato”.

Quando George Blanda convertì l’extra point, Oakland tornò avanti per 21-19, con 4:37 ancora da giocare.
Era solo l’inizio di uno dei finali più convulsi della storia.
Bob Griese rimise in moto l’attacco dei Dolphins che, grazie anche alla fragilità difensiva dei Raiders, impiegarono soltanto 2:29 a riprendere il vantaggio. Il touchdown avvenne su una potente corsa off tackle sulla destra del rookie Benny Malone, che si sbarazzò dei difensori avversari riuscendo a rimanere in campo e a varcare la linea di meta. Questa volta la conversione di Yepremian andò a buon fine e Miami tornò avanti per 26-21, con soli 2:08 sul cronometro.
Ron Smith ritornò il kickoff per 20 yards, facendo partire il drive dei suoi dalle proprie 32.
Le speranze per i Raiders erano ridotte all’osso, dato che in situazioni del genere la difesa dei Dolphins diventava praticamente una ragnatela impenetrabile. Ma Stabler mantenne la caratteristica calma glaciale e trovò la chiave per venire a capo della trama tessuta dalla 53 Defense.
“Possiamo farcela !” gridò Gene Upshaw nell’huddle.
La prima azione fu un passaggio da 6 yards per il tight end Bob Moore, seguita da una corsa centrale. Dopodichè Oakland iniziò seriamente a guadagnare yards: per due volte consecutive Stabler chiamò in causa Biletnikoff, prima con un passaggio da 18 yards sulla sideline destra, poi con un passaggio centrale da 20 yards. Con un solo minuto ancora da giocare, Cliff Branch guadagnò 4 yards su ricezione. Poi ci pensò il wide receiver di riserva, Frank Pitts, a ricevere non senza difficoltà un passaggio centrale di Stabler sulle 14 di Miami.
Mancava meno di un minuto alla fine, e i Raiders erano in una situazione di 3&1 con un solo timeout rimasto a disposizione.
Stabler andò a bordo campo per consultarsi con Madden.
“Avremmo potuto lanciare per conservare il timeout, ma se avessimo fallito sarebbe stato quarto down”, ricordò lo stesso coach. “Così chiamai una corsa, per poi chiamare timeout e fermare il cronometro”.

Così fu, e con una corsa off tackle sulla sinistra di Clarence Davis, i Raiders conquistarono altre 6 yards avanzando sulle 8 dei Dolphins. Trentacinque secondi da giocare.
“Avevamo quattro tentativi per completare un passaggio, eravamo in una situazione ideale”, osservò Madden. Alla fine ne bastò uno solo.
First & goal, nell’huddle Ken Stabler decise di chiamare personalmente il gioco, mandando Biletnikoff in un angolo della end zone. Il blocco del tight end Bob Moore sul linebacker avversario spinse i difensori di Miami a credere che era stata chiamata un’azione su corsa. In quel modo il runner Clarence Davis guadagnò un passo sul proprio avversario diretto, avanzando nella end zone. Stabler prese lo snap dal centro Jim Otto ed entrò nella tasca leggendo le traiettorie che si stavano sviluppando, nell’affannosa ricerca di un ricevitore libero.

La pressione della pass rush dei Dolphins fece collassare la tasca, e Stabler si trovò il defensive end Vern Den Herder provenire a tutta velocità dal lato cieco (la propria destra, dato che Stabler era mancino). Le mani di Den Herder agguantarono le caviglie di Stabler, facendolo cadere in avanti.

“Mi accorsi che Kenny era in difficoltà”, disse Clarence Davis. “Così tornai indietro. Non so se mi vide o no.”
Mentre cadeva, Stabler vide in una frazione di secondo un compagno con un minimo di spazio tra sé e i difensori, e riuscì miracolosamente a lanciare.

Quel compagno era proprio Clarence Davis che, ironia della sorte, era considerato il peggior ricevitore in campo.
Quasi nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio lui sarebbe stato il deus ex machina.
“E’ fatta”, pensò Don Shula quando vide partire quel lancio sbilenco di Stabler. La palla fluttuò verso la end zone, dove a coprire Davis c’erano tre difensori dei Dolphins.
“Riuscii a mettere le mani sulla palla, ma lo stesso fece Davis”, ricordò il linebacker Mike Kolen.
Clarence Davis arpionò il lancio in un “mare di mani”, per poi proteggere la palla portandola al petto vincendo la resistenza dei 3 avversari.

“Non sapevo di essere così forte”, ammise lo stesso Davis. “Fu la pura forza della concentrazione, dato che sapevo che non ci sarebbe stata un’altra opportunità.”

Il miracolo era compiuto, ma mancavano ancora 26 secondi.
L’extra point di George Blanda portò il punteggio sul 28-26 per Oakland. Ci pensò il linebacker Phil Villapiano a mettere virtualmente la parola fine sull’incontro quando intercettò un passaggio disperato di Bob Griese.
“Quando perdi in quel mondo, non riesci ad accettarlo”, dichiarò Shula. “Tutti i tuoi sogni finiscono nel gabinetto. E’ stata la sconfitta più dura di tutta la mia carriera.”
In quel modo svanì il sogno dei Dolphins di vincere 3 Super Bowl di fila, impresa fallita finora a tutte le altre dinastie della NFL.
I Raiders dimostrarono di saper vincere le partite che contano, anche se il loro cammino si sarebbe fermato la settimana seguente per mano dei vincitori del Super Bowl IX, i Pittsburgh Steelers.

Bibliografia

- 75 Seasons
- The Fireside Book of Pro Football
- http://www.raiders.com

Great_Games | by Roberto Petillo | 16/04/07

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