Menu:

Ricerca articolo


Ray Guy

Se mai un punter entrerà nella Pro Football Hall of Fame, quasi certamente sarà Ray Guy.
“Ray Guy non è stato solo un punter. Era un’arma. Quello che lo rendeva unico era l’hang time”, è l’opinione di Ray Didinger, giornalista di NFL Films.
Tutta la vita di Ray Guy ha un tema ricorrente: il Sud, dove nacque, andò al college, e dove ritornò in ciascuna delle 14 offseason durante la sua carriera da punter dei Raiders.
Una volta ritiratosi, nel 1987, lasciò la California e si trasferì ad Hattiesburg, Mississippi, sede del campus della sua alma mater: la Southern Mississippi University. Poi si spostò a Thomson, Georgia, tranquilla cittadina di 15000 abitanti ad un paio di ore ad est di Atlanta, non lontano dalla natìa Swainsboro.
Ray Guy è per sua stessa ammissione un uomo da piccola città. Riuscì in qualche modo ad adattarsi a Oakland, piccola se paragonata alle altre città della NFL, e detestò con tutto il cuore Los Angeles, in cui fu costretto a vivere quando Al Davis spostò la franchigia agli inizi degli anni ’80.
“Non mi piaceva L.A.”, ammise senza troppi giri di parole. “Non mi sono mai calato nello stile di vita hollywoodiano, in cui ognuno cerca di essere qualcun altro. Amo le atmosfere di campagna e i ritmi tranquilli”.
E in fondo il nucleo degli Oakland Raiders di John Madden, gente come Ken Stabler, Willie Brown, Fred Biletnikoff, Art Shell, Gene Upshaw, Jim Otto, Pete Banaszak, Jack Tatum, George Atkinson, era composto da gente proveniente da piccoli centri abitati.
“La ragione per cui vincevamo e stavamo bene assieme era che venivamo tutti da piccole città. Praticamente era come se provenissimo tutti dallo stesso posto.”
Fatto insolito per un punter, Ray Guy era un atleta eccezionale. Probabilmente uno dei migliori in circolazione in quegli anni. A Southern Miss non era soltanto il punter titolare, ma era anche un ottimo safety, al punto che una volta giunto ai Raiders l’etichetta di specialista cominciò presto a stargli stretta. Per questo motivo strappò ai coach l’opportunità di allernarsi con i defensive backs, riuscendo persino a ottenere la nomina a quarterback di emergenza. E una volta calciato un kickoff o un punt, spesso sperava di poter eseguire un placcaggio. A differenza di tutti gli altri pari ruolo, Guy indossava delle normali protezioni sotto l’uniforme e il suo casco aveva la facemask completa. Il motivo era semplice: si considerava un giocatore di football e non solo un punter, e voleva essere trattato come tale.

Ray nacque il 22 Dicembre 1949 a Swainsboro, Georgia, e iniziò a masticare football fin dalla tenera età. “Iniziai a giocare a 6 o 7 anni. I miei fratelli maggiori giocavano nella squadra della high school, e volevo scendere in campo con gli altri ragazzini. Ebbi il permesso di mio padre, e mi schierarono da right guard. Ma non mi interessava il ruolo, volevo soltanto giocare e divertirmi.”
Durante l’età dello sviluppo Ray continuava a crescere in altezza fino ad assestarsi sui 6’3”.
Il suo fisico longilineo sembrava fatto apposta per il ruolo di punter, visto che le lunghe leve gli consentivano di imprimere una grande potenza alla palla, calciando molto lontano e ottenendo allo stesso tempo degli hang time molto lunghi. Una simile costituzione gli permise di eccellere ben presto anche nel baseball: riuscì ad imporsi come miglior lanciatore della sua high school grazie anche alle fastballs scagliate a 90 miglia all’ora.
Con tali mezzi fornitigli da Madre Natura doveva soltanto lavorare sulla tecnica, e fu esattamente quello che fece.
“Il mio coach della high school mi insegnò come calciare una spirale, ed era l’unica dritta di cui avevo davvero bisogno”.
Era la fine degli anni ’60 e Ray Guy non era solo la star indiscussa dei Thomson Bulldogs, ma uno dei migliori prospetti di tutta la Georgia.
Durante la stagione del football, a mezzogiorno di ogni venerdì tutti i negozi chiudevano e la città si fermava per preparsi religiosamente alla partita di football. Sebbene Thomson non sia in Texas, tutta l’attenzione era focalizzata sulla squadra dell’high school, in cui avevano giocato anche i due fratelli maggiori di Ray: Al e Larry.
“Calciavano molto più lontano di me”.
Ray Guy era in campo praticamente in ogni situazione di gioco: era il quarterback titolare, ma anche safety, punter e kicker. E quando la stagione del football finiva, Ray saliva sul monte di lancio e i risultati erano ugualmente eccellenti, al punto che lanciò un no hitter appena 6 settimane dopo un intervento chirurgico ad un ginocchio.
Nei tre anni in cui fu titolare, i Bulldogs vinsero due titoli dello stato della Georgia, perdendo solo una partita quando un difensore avversario saltò sulla schiena di un compagno e bloccò un field goal dello stesso Guy.
“Anni dopo, mi trovavo all’aeroporto di Atlanta quando si avvicinò un tizio, dicendomi che era lui quello che aveva bloccato quel calcio”, ricordò Guy. “Gli dissi che ero ancora furioso per quel fatto”.
Se il venerdì sera era su un campo di football, il sabato mattina alle 6 il giovane Ray si presentava al cantiere per dare una mano al padre Benjamin, per tutti B.F..
“Mio padre diceva sempre che se si comincia un lavoro, bisogna finirlo. Il sabato mattina non potevo starmene senza far niente, e neppure analizzare la partita della sera prima. Alle 6 ero già di nuovo in piedi. C’erano delle case da costruire.”
Ma era chiaro che il futuro di Ray Guy era su un terreno di gioco.
La sua carriera liceale gli valse la chiamata di praticamente tutti i grossi college del Sud. Lui li rifiutò tutti, tranne Southern Mississippi, dove poteva continuare a giocare anche a baseball. Era il 1969.
“Non mi piaceva la vita che si faceva nei grandi college, e non appena arrivai al campus di SMU mi sentii a mio agio. Mi sembrava quasi di stare ancora a Thomson”.

A Southern Miss, Ray giocò da safety, da kicker e da punter, oltre ad essere l’asso della rotazione della squadra di baseball.
Nelle 3 stagioni in cui giocò in prima squadra (all’epoca i freshmen non erano eleggibili), Guy totalizzò 18 intercetti e mise a segno tra l’altro un field goal da 61 yards contro Utah State. Oltre a questo, al termine di ogni anno fu draftato da una squadra della MLB: ovvero dai Cincinnati Reds al primo anno, dagli Houston Astros al secondo, dagli Atlanta Braves al terzo e di nuovo dai Cincinnati Reds al termine del suo senior year.
“Giocavo per il puro piacere di giocare. Non presi mai in considerazione l’idea di fare solo lo specialista. Era solo un modo per essere di aiuto alla squadra. Ero un free safety, e mi piaceva”.
Nonostante le buone doti da defensive back, fu la sua gamba destra ad attirare l’interesse degli scout della NFL.
Nel 1972, suo senior year, realizzò un punt da ben 93 yards contro Ole Miss, e in quello stesso anno ebbe la migliore media in tutta la nazione con 46.2 yards. Numeri che gli fecero guadagnare la nomina nella All-America Team, oltre all’onore di essere il primo atleta di Southern Miss ad avere il proprio numero di maglia, il 44, ritirato.
“Lo vidi calciare un punt da 93 yards che in realtà viaggiò per oltre 115. Lo vidi realizzare un field goal da 61 yards in una bufera di neve. L’ho visto giocare safety e colpire così duro che dovettero fermare il gioco per raccogliere da terra i denti dell’avversario”, ricordò Rick Cleveland.
“E’ semplicemente il miglior kicker di sempre”, dichiarò secco il suo coach a Southern Miss, Curley Hallman.
Ma il futuro di Ray Guy sembrò drammaticamente compromesso quando, nella sua ultima partita in assoluto da collegiale, contro la Nicholls State University, un difensore avversario lo colpì dal lato cieco e gli ruppe la gamba sinistra, poco al di sopra della caviglia.
L’infortunio gli costò la partecipazione all’East-Wet Shrine Game e al Senior Bowl, dove sarebbe stato sotto gli occhi di tutti gli osservatori della NFL. Pareva ovvio che il suo nome sarebbe stato depennato definitivamente dal taccuino di ogni scout.
“A volte capita di vedere il proprio futuro andare in fumo. Fortunatamente non fui colpito mentre stavo calciando. Il ricevitore avversario chiamò il fair catch, e diressi il mio sguardo sulle sidelines in attesa che la difesa tornasse in campo. Un istante dopo, ero per terra con la faccia rivolta verso il Sole”.

Mentre tutti gli altri All-Americans pensavano a mettersi in mostra in vista del draft del 1973, Ray, con la gamba ancora ingessata, sposò la sua ragazza di sempre, Beverly.
Il draft si avvicinava sempre di più, ma Ray Guy aveva un Piano B nel caso in cui la NFL lo avesse ignorato: accettare la chiamata dei Cincinnati Reds e calcare i diamanti della MLB.
Ma a quel punto il suo destino si incrociò con quello degli Oakland Raiders.
Il giorno prima del draft, uno scout dei Raiders arrivò ad Hattiesburg e bussò alla casa dei novelli sposi. Erano le 6:30 del mattino.
“Mi avevano appena tolto il gesso e non avevo idea che stesse arrivando quel tipo. Lo aveva mandato John Madden per assicurarsi che stessi bene, ma non mi chiese mai come stava la gamba. Un’ora dopo se ne tornò a New Orleans e disse a John che era tutto ok”.
Il giorno dopo, la sorpresa di Guy fu ancora più grande quando ricevette una chiamata da John Madden in persona, che gli annunciò la chiamata al primo giro, con la 23esima scelta assoluta.
Primo giro ! Un punter ! E perdipiù con una gamba rotta !
“Coach Madden chiamò e disse che mi avevano preso con la loro prima scelta. Per poco non caddi dalla sedia”, ricordò. “Non avevo alcuna idea di dove fosse Oakland, California. Pensavo fosse da qualche parte a nord del Wisconsin. Nella città in cui vivevo la TV mandava solo le partite di Bears, Packers, Vikings, Redskins e Cowboys, e semplicemente non conoscevo gli Oakland Raiders.”
Il motivo di quella chiamata così non convenzionale può essere ben spiegato da Tom Flores, dapprima quarterback (tra l’altro uno degli “Original Raiders” assieme a Jim Otto) poi assistant coach e quindi head coach dei Raiders: “Nel primo giro prendevamo chi avrebbe potuto avere il maggior impatto possibile sulla squadra. Gene Upshaw fu una prima scelta, così come Jack Tatum e Marcus Allen. Nel 1973 pensammo che un punter avrebbe avuto un impatto immediato. Alcuni giocatori, come i quarterbacks, necessitano di un po’ più di tempo per maturare. E poi Ray Guy era un atleta strepitoso. Sapeva correre, saltare, lanciare la palla per 80 yards e perfino schiacchiare. Grazie alla sua abilità nel lanciare, lo nominammo nostro quarterback di emergenza.”
I Raiders prima mandarono Guy a Los Angeles per un consulto con il loro chirurgo ortopedico di fiducia, il dottor Robert Rosenfeld, amico personale di Al Davis.
Gli esami medici andarono benone e gli fu chiesto di presentarsi al training camp, subito dopo aver giocato il College All-Star Game, dove fu nominato MVP.
Quando giunse a Santa Rosa, fu accolto dai compagni di squadra e soprattutto da dozzine di giornalisti desiderosi di capire perché i Raiders avevano speso una prima scelta per un punter, cosa mai avvenuta in precedenza e mai più verificatasi nella storia.

“Quando feci il mio primo ingresso sul campo di allenamento, sembrava che ci fossero 500 reporters tutti per me, e mi fecero tutte le domande di questo mondo. L’atmosfera era strana. I Raiders mi accolsero tra loro come se stessi là da una vita. Il primo compagno che incontrai fu George Blanda.”
I Raiders avevano da poco tagliato Jerry DePoyster, il punter che nella stagione 1972 si era fatto bloccare ben 3 tentativi, eliminando di fatto qualsiasi tipo di competizione nel ruolo.
Con DePoyster in campo, un’azione “quasi automatica” come il punt diventava una vera tribolazione.
“Le mani di Jerry erano atroci. Preso lo snap, tendeva a portarsi la palla al petto per poterla controllare, e questo gli costava una frazione di secondo che spesso fu fatale”, commentò John Madden.
Con Ray Guy sarebbe stata tutt’altra musica, e questo fu chiaro a tutti dopo appena 10 minuti dall’inizio della prima sessione di allenamento.
“Il ritornatore si piazzava sulla linea delle 35 yards, ma punt dopo punt fu costretto ad arretrare sempre più. Sapevo che gli occhi della stampa erano tutti su di me, ma quel giorno i miei calci avevano un fantastico hang time”.
E Ray Guy fu proprio l’artefice dell’uso scientifico dell’hang time come arma per spingere indietro gli attacchi avversari e dare una grande posizione di campo alla propria difesa.
L’unico problema da combattere fu la noia.
Al college Guy era abituato a giocare anche in difesa, e una volta divenuto professionista il tempo passato sulle sidelines in attesa di essere chiamato in causa sembrava non passare mai.
Così durante gli allenamenti era costretto a inventarsi qualsiasi cosa pur di sentirsi coinvolto. Per questo iniziò a correre le tracce con i ricevitori di riserva e ad allenarsi con i defensive backs.
“Era davvero dura per me. Al college giocavo ogni down, e facevo un po’ di tutto. Durante il primo giorno di camp, scesi in campo per un drill di 7 contro 7 senza neppure pensarci. Fred Biletnikoff era pronto per correre una traccia e John Madden vide quello che stava accadendo e iniziò a urlare contro di me.”
“Per qualche istante non sapevamo che fare”, ricordò Tom Flores. “John Madden e Al Davis erano a bordo campo ed entrambi realizzarono che avrebbero dovuto afferrare Ray e portarlo di forza fuori dal campo.”
“Non volevo che Ray si facesse male”, ammise Madden. “Gli promisi che gli avrei dato un’opportunità come safety dopo che avesse preso confidenza con il ruolo di punter, mentendogli spudoratamente. Avrebbe voluto fare anche il kicker, ma non pensavo fosse una buona idea. Calciare un field goal richiede una meccanica totalmente diversa, oltre a sollecitare in maniera totalmente opposta la gamba rispetto a quando si esegue un punt. Penso che nessuno possa essere ugualmente efficace come kicker e come punter”.
Qualche giorno dopo quell’episodio, Madden pensò bene di non far annoiare troppo quel ragazzo. Così gli mise addosso una casacca rossa e cominciò a farlo allenare anche con i quarterbacks, facendogli imparare alcuni schemi e come prendere gli snaps.

Guy, un semplice ragazzo di campagna, si adattò perfettamente allo stile di vita non proprio morigerato del tipico Raider.
“Mi piaceva divertirmi, e mi piace tutt’ora. Mi facevo anche io qualche birra in più, ma conosco parecchia altra gente che non ha mai giocato a livelli professionistici che si è divertita molto più di quanto abbia fatto io.”
I dubbi su quella chiamata al primo giro furono presto allontanati, ma sembrarono tornare durante il suo anno da rookie. In un Monday Night Game a Denver contro i Broncos, i Raiders andarono avanti per 23-20 grazie ad un field goal da 49 yards di George Blanda, a soli 36 secondi dalla fine.
A quel punto Ray mandò fuori il kickoff successivo. Le regole dell’epoca prevedevano 5 yards di penalità e nuovo kickoff, ancora una volta spedito fuori. Ne fu necessario un terzo, che diede ai Broncos un’ottima posizione del campo. Un paio di azioni dopo, il kicker Jim Turner mise a segno un field goal da 35 yards a 3 secondi dalla fine, che fissò il punteggio sul 23 pari.
Ma si trattò di un errore sporadico. Guy fu nominato All-Pro per ben 7 volte, la prima già nel suo rookie year e consecutivamente dal 1973 al 1978. Ebbe la miglior media di tutta la NFL nel 1974, 1975 e 177, e detiene il record dei Raiders in quanto a numero totale di punts (1049) per 44493 yards (altro record). In una partita del 1981 contro i Broncos, ebbe una media punt di 57.6 yards.
Chiuse la carriera con una media di 42.4 yards, e giocò in 3 Super Bowls (tutti vinti) e 7 AFC Championship Games.
Oltre a questo, nessuno dei suoi punts fu mai ritornato in touchdown.

Come detto, la sua abilità nell’ottenere degli elevatissimi hang time fu leggendaria. Si dice che in un’occasione la squadra avversaria requisì la palla per farne analizzare il contenuto, sospettando che fosse ripiena di elio !
“Non avevo mai visto un simile hang time prima dell’avvento di Ray. Cominciammo a cronometrare quei tempi e a volte la palla restava in aria per 6 secondi !” dichiarò John Madden.
Guy fu il primo punter a colpire lo scoreboard sospeso a 90 piedi d’altezza dal soffitto del Louisiana Superdome di New Orleans durante il Pro Bowl del 1976.
Era il terzo quarto e la selezione della AFC, guidata proprio da Madden, era in vantaggio e fu costretta al punt.
Guy si avvicinò al coach e gli chiese: “Che ne dici se provo a colpire il tabellone ?”
“Diamine, no ! E’ pur sempre una partita”, rispose istintivamente Madden. Pochi secondi dopo il coach tornò sui suoi passi. Dopotutto il Pro Bowl è un’esibizione, e sembrava giusto che Ray Guy mostrasse fin dove si potessero spingere le sue incredibili doti.
“Vai, provaci !”, gridò Madden. La palla salì in cielo, sempre più su per poi colpire lo scoreboard !
Tra il 1979 e il 1986 riuscì a registrare una striscia di ben 619 punts non bloccati, e dei 1049 totali in carriera solo 3 furono bloccati. Prova inconfutabile della velocità nell’esecuzione e dell’ottima protezione ricevuta dal resto dei propri special teams.
“Posso contare sulle dita di una sola mano i punt che mi hanno bloccato”.
Ironia della sorte, Guy si vide bloccare il suo primo punt nel Super Bowl XI contro i Minnesota Vikings, nel 1976.
I Raiders erano in una situazione di quarto down sulle proprie 34 yards. I Vikings bloccarono il punt e recuperarono la palla sulla linea delle 3 yards. Ma 3 azioni dopo, un tackle di Phil Villapiano causò un fumble che fu recuperato da Willie Hall. Minaccia sventata, ma quell’episodio tormenta ancora Ray Guy.
“Non si erano neppure schierati per bloccare il punt. Ero talmente furioso che avrei preso a morsi una moneta da 1 dime!”

Nel Super Bowl XVIII contro i Washington Redskins, nel 1983, dette una prova impressionante dei propri mezzi atletici quando saltò fino in cielo per controllare uno snap troppo alto, riuscendo a calciare via.
“Ray era in attesa sulle proprie 25 e lo snap arrivò altissimo, parecchio al di sopra della sua testa”, raccontò Tom Flores. “Allora saltò, non so quanto in alto, afferrò la palla con una sola mano, tornò giù e con la massima naturalezza la scaraventò all’interno delle 20 yards dei Redskins !”
Qualunque altro punter non avrebbe controllato quello snap e i Redskins si sarebbero ritrovati come minimo nella red zone. Ma Ray Guy riuscì a trasformare una situazione potenzialmente pericolosissima in una di estremo vantaggio. Poche azioni dopo, Joe Theismann fu intercettato da Jack Squirek, che riportò la palla in touchdown.

I Raiders avrebbero vinto anche quel Super Bowl, ma era chiaro che tutto stava cambiando.
Nel 1981 Al Davis, dopo una lunga ed estenuante guerra personale contro il commissioner Pete Rozelle, riuscì a spostare la franchigia a Los Angeles.
“Per me l’atmosfera cambiò di colpo, avevo delle strane sensazioni. Mi sarei ritirato quando avrei avuto la sensazione che quello era diventato un lavoro come gli altri”.
Dopo la stagione 1986, dei problemi alla schiena lo costrinsero ad un ricovero in ospedale.
Nel Maggio 1987 annunciò il ritiro, rinunciando all’ultimo anno di contratto. Aveva 38 anni, non pochi per gli standard della NFL, e le 207 partite giocate in 14 anni da professionista avevano lasciato il loro segno.
“Sapevo che il ritiro era vicino, e dopo che lo comunicai non ebbi alcun ripensamento.”
La prima cosa che fece fu lasciare il caos di Los Angeles per tornare nella tranquilla Hattiesburg, dove entrò nel coaching staff di Southern Miss.
Qualche anno dopo, Guy si ristabilì nell’amata Thomson assieme a Beverly e ai loro 2 figli, dove divenne un agente di commercio nel business del legname. Ma i continui viaggi non facevano per lui, così iniziò a vendere assicurazioni sulla salute, attività che svolge tuttora.
Come attività collaterale, manda tuttora avanti la “Ray Guy Kicking Academy” in giro per gli States, dove aiuta i kickers, punters e long snappers delle high schools ad affinare la propria tecnica.
Il 7 Dicembre 2003 fu eletto nella College Football Hall of Fame, primo punter nella storia a meritare questo onore. E non a caso, il premio che dal 2000 viene assegnato ogni anno al miglior punter della NCAA si chiama “Ray Guy Award”.
Ma il riconoscimento definitivo, quello che lo porterebbe definitivamente tra gli Dei del football professionistico, tarda ancora ad arrivare.
Ogni anno a Gennaio, durante la settimana del Super Bowl, Guy attende “quella” telefonata.
E’ il periodo dell’anno in cui la commissione stabilisce i nuovi membri della Pro Football Hall of Fame, in cui Guy è eleggibile dal 1992.
Ma con nessun punter ed un solo kicker (Jan Stenerud) eletti finora , Guy non ci conta molto.
“C’è gente che avrebbe dovuto essere eletta anni fa e non è ancora a Canton. Parlo di gente come Kenny Stabler, così me ne farò una ragione se non vengo eletto. Se capita, capita. Spero solo di essere ancora in vita qualora dovesse accadere.”
I numeri sono dalla parte di Ray Guy, e se non fosse per una certa riluttanza della commissione, Sid Hartman e Paul Zimmerman in primis, la sua elezione sarebbe avvenuta molti anni fa.
Ma da che mondo è mondo, gli special teams sono parte del football (qualcuno, forse a ragion veduta, dice 1/3) e la Hall of Fame è il luogo dove ci sono i più grandi di sempre, indipendentemente dal ruolo.
E per rendere giustizia al più grande punter di tutti i tempi, prima o poi quel telefono dovrà squillare…

Bibliografia

- www.raiders.com
- www.espn.com
- “Hey, Wait a Minute (I wrote a book!)”, John Madden
- “Tales from the Oakland Raiders”, Tom Flores

Legends | by Roberto Petillo | 12/10/08

blog comments powered by Disqus