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New York Giants

La Nfl compie la sua quinta stagione quando tenta il tutto per tutto per espandersi definitivamente accordando la nascita di un team affiliato a New York. In un periodo in cui baseball, boxe e college football la fanno da padroni nella Grande Mela, i vertici della Lega sono convinti che il football pro possa fare la sua parte, soprattutto, vivono la nascita di un team in una grande piazza come una boa di salvataggio per far galleggiare i conti economici che fino a quel momento non hanno del tutto sorriso ai fondatori.

L’impegno lo prende Tim Mara, businessman di successo che investe 500 dollari nel progetto di creazione di una nuova squadra, convinto che l’ombra e il peso degli altri sport non sia del tutto invincibile e che se il professionismo della palla ovale regna in posti come Columbus, Rochester, Frankford ed altre piccole realtà cittadine può e deve vivere anche a New York City.

Il primo stadio per la neonata franchigia sarà il Polo Grounds, il primo coach Bob Folwell il nome della squadra un omaggio al baseball di NY: i Giants indosseranno così anche le divise di football mentre, negli anni a venire, sarà proprio la squadra del batti e corri a spostarsi a San Francisco. Per l’esordio viene messo sotto contratto anche Jim Thorpe, che giocherà 3 partite con la squadra della Big Apple.

1925 – Secondo alcune fonti la prima partita di sempre dei New York Giants sarebbe stata giocata in Connecticut contro gli All New Britain, il 4 ottobre, e terminata con esito positivo per gli uomini di Tim Mara che si imposero 26-0 di fronte a 10000 persone. La verità è che, però, quella stagione di football cominciò l’11 ottobre e, di conseguenza, la prima uscita ufficiale dei Big Blue fu in trasferta a Providence, dove gli Steam Roller si imposero 14-0. L’avvio fu uno 0-3 che la nuova squadra professionista ribaltò chiudendo 8-4 e vincendo l’ultima, fondamentale, gara in casa contro i Chicago Bears.

Fondamentale non fu tanto il risultato, ininfluente sugli esiti della stagione, quanto l’ambiente che, al contrario delle aspettative di Mara, non rispose in modo così positivo all’espansione in quel di New York. I conti erano già in rosso, il pubblico distaccato, ma l’arrivo in città di Red Grange e dei suoi Bears portò 70000 persone al Polo Grounds, un immenso incasso per le tasche della dirigenza e una vittoria (9-0) che accese finalmente l’entusiasmo del tifoso estasiato dallo spettacolo visto in campo.

1926 – L’avvio della seconda stagione non è dei più incoraggianti e c’è già un cambio di allenatore: il nuovo nome è Doc Alexander. I Giants attaccano con quattro trasferte, vincono le prime due partite ma cedono di botto perdendo tre sfide di fila subendo altrettanti shutout. A fine stagione saranno ben 4 i “cappotti” subiti, 5 quelli inflitti agli avversari, grazie soprattutto a un finale lanciato che si chiuderà con due “derby” contro i Brooklyn Lions sconfitti 17 e 27 a zero. Il record finale è 8-4-1 ed è il preludio al primo titolo.

1927 – Tre stagioni sono sufficienti ai Giants per imporsi sul resto della Lega; sulla sideline si arriva subito ad un nuovo cambio, il terzo in altrettanti stagioni. Nuovo head coach è Earl Potteiger che guiderà per un biennio New York. La difesa organizzata da Potteiger è strepitosa, concede solo 20 punti in tutto il campionato (nessuno nel primo tempo) lasciando a 0 gli avversari in 10 partite su 13. Il tutto non è sufficiente a completare un campionato perfetto: uno 0-0 ed uno 0-6 entrambi ottenuti contro i Cleveland Bulldogs fermano il record stagionale a 11-1-1. Stagione non perfetta ma che regala il primo titolo alla squadra.

1928 – Potteiger lascia la squadra dopo un 4-7-2 che evidenzia ancora qualche difficoltà offensiva ma incapace di ripetere le gesta dell’anno precedente attraverso il reparto difensivo.

1929/30 – Roy Andrews guida la squadra per quasi due stagioni, al suo posto, per chiudere il 1930, Benny Friedman e Steve Owen. La squadra costruita da Andrews colleziona due campionati da 13 vittorie ciascuna, ma in entrambi casi arriva seconda. Al termine del 1930 Owen è designato capo allenatore.

1931/32 – E’ il periodo della grande depressione, la squadra ha bisogno di essere seguita giorno dopo giorno, ma Tim Mara ha anche altri affari a cui prestare parecchia attenzione. Dietro la scrivania più importante della sua società sportiva mette a sedere due persone fidate che potranno proseguire un lavoro il quale, suo malgrado, deve abbandonare. Sono i suoi due figli, Jack e Wellington, di 22 e 14 anni. La tenera età di Wellington lo rende il proprietario più giovane nella storia della Nfl.

Owen guida la squadra a un record vincente ed uno perdente, ma i “nuovi” proprietari decidono di basare il progetto su un lungo termine e l’head coach rimane in sella nonostante il 4-6-2; la scelta sarà una delle più azzeccate nella storia della franchigia.

1933 – La prima era della Nfl finisce, si entra in quella del lancio in avanti legalizzato da ogni zona del campo dietro lo scrimmage, della postseason e delle division: l’epoca dei Championship, insomma. Owen centra subito l’obiettivo di arrivare alla finale vincendo la East Division (13-3) ma perdendo in finale a meno di un minuto dal termine contro i Chicago Bears (23-21) che sfruttano un passaggio laterale in pieno stile rugbystico per correre 19 yard ed entrare in endzone. I Giants proveranno a copiare la giocata subito dopo, ma Red Grange renderà vano il tentativo di Dale Burnett regalando il primo Championship ufficiale, il secondo considerando lo spareggio con Portsmouth, a Chicago.

1934 – Ancora Championship, ancora Chicago Bears. I Giants chiudono in testa alla division grazie a un non eccelso 8-5. In finale, invece, i Bears ci arrivano con un 13-0 e a capo di quasi tutte le categorie statistiche offensive della Lega con una differenza tra punti segnati e subiti di +200 (286-86). Il Championship va di scena al Polo Grounds, col campo ricoperto da uno strato di ghiaccio e la temperatura abbondantemente sotto lo 0 (-13).

Il primo tempo è in favore dei Bears, i quali arrivano al quarto periodo avanti 13-3, ma già dal terzo periodo i Giants hanno cominciato a giocare con scarpe da basket su suggerimento di Steve Owen, il quale scommise sulla maggiore tenuta sul ghiaccio e la conseguente possibilità di rimanere in piedi con più stabilità. I risultati si vedono nell’ultimo quarto, quando i Bears scivolano di continuo e i Giants volano in meta più volte. Ed Danowski lancia Ike Franklyn per un TD da 28 yard, Ken Strong colpisce su corsa per 42 yard dando il vantaggio ai suoi. Danowski e Strong, con le loro sneaker ai piedi, chiudono il conto con altre due mete che fissano il risultato sul 30-13. La partita verrà ricordata come “The Sneaker Game” e impedirà ai Bears di completare la perfect season. Qualche anno più tardi, nel nuovo millennio, i Giants fermeranno una nuova stagione perfetta, ribaltando il pronostico e riscrivendo, di nuovo, la storia del gioco.

1935 – I Giants vincono di nuovo la East Division, ma la finale per il titolo non va come previsto. I Detroit Lions partono forte e mettono sotto NY chiudendo i conti con un punt bloccato ed un intercetto, nel quarto periodo, riportati entrambi in meta dopo che gli avversari avevano ridotto il vantaggio. Il finale sarà 26-7 per i Lions.

1936/37 – Dopo tre titoli i Giants crollano nella divisione per riprendersi un anno dopo conquistando il secondo posto nella East, insufficiente per puntare ad ambizioni di titolo.

1938 – Dopo un avvio di 1-2 i Giants inseriscono la quinta e volano verso il titolo senza più perdere una sola partita. Il record finale è di 8-2-1 e in finale i Packers vengono battuti 23-17 al Polo Grounds grazie a ottime giocate degli special team e un finale in crescendo del reparto offensivo. New York diviene la prima squadra a bissare la vittoria di un Championship dalla divisione della Lega in due divisioni mentre il suo centro, Mel Hein, è il primo MVP stagionale nella storia della franchigia.

1939 – Un record di 9-1-1 e NY è di nuovo in finale, di nuovo contro Green Bay. Stavolta si gioca al Milwaukee Fair Grounds e i Packers si impongono 27-0 dominando gli avversari in lungo e in largo.

1940/41 – La rivalità coi Brooklyn Dodgers è il piatto finale di una stagione che vede i Giants già campioni della East. Già sconfitti nella prima partita, i Giants cercano la rivincita nella stracittadina nello stadio di casa, ma la partita è persa 21-7 e scossa dall’annuncio dell’attacco a Pearl Harbor. E’ il 7 dicembre 1941, dopo una stagione fallimentare i Giants tornano al Championship che rischia di essere cancellato vista l’entrata in guerra degli USA. Due settimane dopo, invece, si va a Chicago e si gioca, anche se i Bears dominano la seconda parte di gara (4 TD nel secondo tempo) e vincono 37-9.

1942/49 – I Giants continuano ad essere tra le migliori squadre della Lega e una delle più vincenti della East Division. Gli anni della guerra e quelli immediatamente successivi, vedono la formazione guidata da coach Owen. Nel 1943 Giants e Redskins hanno lo stesso record (6-3-1) e giocano un Divisional Playoff di spareggio in casa di NY, la quale si è conquistata il fattore campo battendo Washington nelle ultime due giornate di campionato (14-10 in casa e 31-7 in trasferta). Il Divisional va in modo diverso, Washington trionfa 28-0 e va in finale.

Nel 1944 è di nuovo Championship al Polo Grounds, ma sono di nuovo gli avversari a festeggiare: i Packers si impongono 14-7. Stessa sorte nel ’46, stagione che segue il primo record negativo in nove campionati; stavolta sono i Bears ad imporsi (24-14). Il decennio si chiude con più bassi che alti, e i Giants vincono solo 12 partite negli ultimi tre campionati degli anni Quaranta.

1950/52 – L’America entra nel decennio del boom economico, del sogno americano, del dopoguerra e dell’inizio della Guerra Fredda. La Nfl ribattezza le divisioni in conference, American e National, e i Giants, inseriti nella prima, chiudono 10-2, andando in doppia cifra nel campo delle vittorie per la prima volta dal 1933 con coach Owen che viene premiato come allenatore dell’anno. La parità coi Cleveland Browns, battuti due volte in regular season, forza un Divisional Playoff che si giocherà in Ohio grazie al sorteggio effettuato con una moneta. Come nel 1943 contro i Redskins, i Giants perdono la terza e decisiva sfida (3-8) e non accedono al Championship.

Nel 1951 non basta un 9-2-1 stagionale per stare davanti a Cleveland nell’American Conference. Il 1952 il computo delle vittorie cala ancora (7-5) e si avvicina l’inizio della fine di un’era mentre comincia quella di Frank Gifford, giocatore tuttofare diviso tra attacco (WR e RB) e difesa (DB) che dominerà per anni le scene del palcoscenico più importante del mondo.

1953 – Steve Owen chiude la sua carriera a NY dopo averla cominciata nel 1930 come allenatore ad interim. Owen chiude la stagione 3-9 e si ritira dopo 151 vittorie totali, il numero più alto di sempre per un allenatore dei Big Blue. Owen ha passato a NY un cambio epocale per il football negli anni 30, e per l’America tutta, insieme alla Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. Lasciò la squadra nel momento in cui la Nfl cominciò ad esplodere definitivamente e le conference ripresero i nomi di East e West.

1954/55 – Il nuovo coach è Jim Lee Howell che riporta subito la franchigia a stagioni vincenti non senza qualche difficoltà.

1956 – Uno dei più importanti anni della storia dei Giants si apre con un trasloco. I Big Blue abbandonano il Polo Grounds e cominciano a giocare le partite interne allo Yankee Stadium. La stagione si chiude con un ottimo 8-3-1 ottenuto soprattutto grazie ad uno sprint iniziale che vede la squadra di Howell vincere sei delle prime sette gare. I Giants sono i primi ad est e ospitano il primo Championship allo Yankee Stadium distruggendo i Chicago Bears 47-7 grazie soprattutto alle ottime prove del quarterback Charlie Connerly e dell’inarrestabile fullback Alex Webster, semplicemente devastante contro la difesa dei Bears.

La Nfl guadagna un incredibile picco di celebrità nel paese e i Giants diventano rapidamente la squadra più popolare ed amata grazie alla presenza di nomi quali Frank Gifford, MVP del ’56, e al linebacker Sam Huff. Jim Howell è il secondo coach dei Giants a guadagnarsi il titolo di miglior allenatore dell’anno e il suo successo è costruito su un coaching staff che trova nei suoi assistenti due giovani nome che, in futuro, avrebbero donato qualcosa di buono allo sport: Vince Lombardi in attacco e Tom Landry in difesa.

1957/58 – Il 1957 passa in sordina dopo la scorpacciata di premi dell’anno precedente mentre la stagione successiva regala una delle più incredibili partite di sempre, per molti semplicemente la migliore. I Giants agganciano i Browns (9-3 in classifica) grazie alla vittoria all’ultima di campionato (13-10) allo Yankee Stadium. L’impresa si ripete una settimana dopo, stesse squadre, stesso stadio e stesso esito per lo spareggio della Eastern Conference. La spunta NY che va al Championship contro i Baltimore Colts del giovane Johnny Unitas.

La partita è la prima di sempre a terminare in overtime e regala alla Nfl una visibilità televisiva incredibile oltre ad un nuovo numero di appassionati che, incollati davanti alla TV, assistono a una gara spettacolare e coinvolgente. Dal vivo, invece, ci sono più di 60000 spettatori che assistono alla partita vinta al secondo possesso nei supplementari dai Colts (23-17) grazie ad Alan Ameche. Per gli esperti quella gara fu la più bella di sempre e, ancora oggi, viene spesso richiamata con l’appellativo di Greatest Game Ever Played.

1959 – Stagione eccezionale per i Giants che chiudono 10-2 e si trovano su un piatto d’argento la rivincita contro i Colts al Championship. Stavolta niente partite epiche, niente battaglia fino all’ultimo secondo, niente supplementare. La più forte Baltimore chiude la pratica grazie a un secondo tempo strepitoso e a poco serve, per i Giants, schierare l’MVP stagionale Charlie Conerly; Johnny Unitas e i suoi compagni fanno meglio e chiudono 31-16.

1960/62 – Gli anni Sessanta cominciano male per NY che chiude la prima stagione del decennio 6-4-2 al terzo posto nella East Conference. Nel 1961 comincia l’epoca del quarterback Y.A. Tittle e del coach Allie Sherman che arriveranno per tre volte consecutive al Championship perdendolo in ogni occasione. Nel 1961 prima stagione con doppia cifra nel record delle vittorie (10-3-1) con un Tittle da 2272 yard ma finale persa malamente, 37-0, contro Green Bay.

L’anno dopo sembra tutto pronto: recuperato Frank Gifford da un infortunio, Y.A. Tittle si diverte a lanciare il compagno ritrovato che fa coppia con l’ottimo Del Shofner (1133 yard ricevute) e chiude la stagione a 3224 yard e 33 passaggi in meta. Anche il record stagionale migliora (12-2) ma la finale vede la vittoria della dinastia nascente di Green Bay che, giunta al Championship con una sola sconfitta, chiude la pratica 16-7 davanti ai quasi 65000 dello Yankee Stadium.

1963 – Stavolta non ci sono i Packers in finale, ma la sfortuna arriva puntuale a colpire New York. Usciti da una regular season chiusa 11-3 e con Y.A. Tittle (3145 yard) MVP della Lega, i Giants volano a Chicago per prendersi il titolo finora inutilmente inseguito. I Bears hanno perso solo una partita in campionato (ma hanno due pareggi) eppure la favorita sembra NY che, senza i Packers, può puntare tutto su un attacco formidabile. Il primo tempo si chiude 10-0 per i Giants, ma Tittle si fa male ad un ginocchio. Rientra ugualmente in campo, ma manca di lucidità e i suoi movimenti appaiono troppo forzati; la forte difesa dei Bears lo mette alle strette, lo intercetta 5 volte riportando l’ovale in touchdown in due situazioni e ribaltando la partita vincendo il titolo: 14-10.

1964/68 – Gli anni caldi del Vietnam coincidono con la fine dell’epoca Sherman che, dopo tre finali consecutive, non supera mai il 50% di vittorie in stagione registrando, nel 1966, un 1-12-1 che è tuttora il peggior record nella storia dei Giants. Dopo aver incrociato le armi con la miglior squadra del decennio ed aver sofferto l’infortunio di Tittle a Chicago, per NY non si presenta più l’occasione di giocare per il titolo. Dopo quella sconfitta il quarterback non è più lui, nel 1964 lancia solo 10 TD a fronte di 22 intercetti e, nel 1965, è sostituito dal trentunenne Earl Morrall, bollato, forse troppo presto, come giocatore finito un paio di stagioni dopo.

Nel 1967 (i Giants sono inseriti nella “nuova” Century Division) arriva così Fran Tarkenton che spinge l’attacco dei Big Blue a dimensioni più consone alla sua recente storia. Il tremendo ’66 è parzialmente cancellato dal 7-7 stagionale e dalla fiducia che il nuovo quarterback (3088 yard e 29 TD pass) dona all’ambiente. Lo stesso, in termini di numeri e risultati, accade nel 1968.

1969 – Viene assunto Alex Webster come head coach, ma la musica non cambia. Tarkenton mette in piedi ottimi numeri, ma il resto della squadra non c’è e il record finale è un misero 6-8.

1970/73 – L’avvio del nuovo decennio non aiuta i Giants che vedono chiudersi l’avventura di Webster con due sole stagioni vincenti inutili però a raggiungere la postseason ormai allargata ai Divisionl Playoff come formula “fissa” dalla fine del decennio precedente. Via Fran Tankerton e, dal 1972, si punta su Norm Snead. La Nfl intanto si unisce alla Afl e diventa Nfc. Nel 1970 i Giants tornano a far visita alle vecchie rivali che erano state loro sottratte con il riallineamento del 1967 e l’inserimento di NY nella Century Division. NY entra nella Nfc East assieme a Dallas, Washington, Philadelphia e i St. Louis Cardinals.

Intanto lo Yankee Stadium viene adibito al solo gioco del baseball e i Giants si trovano costretti a traslocare. Con non pochi problemi raggiungono l’accordo per giocare nello stadio della Yale University a New Haven, Connecticut, in attesa che il nuovo Giants Stadium venga costruito ad East Rutherford, nel New Jersey, a poche miglia da New York City.

1974/76 – La società punta sul coach Bill Arnsparger e sul quarterback Craig Morton, ma in due anni i risultati sono un 2-12 ed un 5-9. Nel 1975 la squadra divide coi NY Jets lo Shea Stadium, altro impianto di baseball, prima del definitivo trasloco che arriverà l’anno seguente. Nel ’76 si comincia con 4 trasferte per poi esordire al nuovo Giants Stadium, situato nelle Meadowlands. Arnsparger viene allontanato quando la squadra si trova 0-7 e l’assunzione di John McVay serve solo a chiudere con un definitivo 3-11.

1977/78 – McVay si affida ai servigi del quarterback Joe Pisarcik e chiude la sua prima stagione interamente passata da head coach con un record di 5-9. Nel 1978 accade l’incredibile. Il 19 novembre i Giants ospitano Philadelphia quando si trovano sul 5-6 in classifica e, vincendo, potrebbero tenere aperto il discorso Wild Card. Il crollo della squadra è arrivato con tre gare in trasferta, tutte perse, quando i Big Blue si trovavano sul 5-3, ma il ritorno al Giants Stadium è atteso come l’inizio di una nuova rimonta. A pochi secondi dalla fine NY è avanti 17-12 e al quarterback Pisarcik non resta che inginocchiarsi e chiudere la partita, quando l’offensive coordinator Bob Gibson chiama, inspiegabilmente, un hand off per il fullback Larry Csonka.

A trenta secondi dalla fine e con gli Eagles senza timeout, Pisarcik, altrettanto inspiegabilmente, mantiene la chiamata del proprio coach e, ricevuto lo snap, si volta per dare palla a Csonka che si fa cogliere impreparato. La palla picchia sul torace del fullback, cade a terra e viene recuperata dal DB Herman Edwards che la riporta in meta per quello che viene ancora definito The Miracle in the Meadowlands. I Giants perderanno 19-17 e non si riprenderanno più chiudendo la stagione 6-10.

1979Wellington Mara è disperato, i playoff mancano da 15 stagioni, la squadra accumula una stagione perdente dopo l’altra. Il primo passo è assumere il primo vero GM della società, una personalità capace di seguire la squadra giorno per giorno occupandosi di tutto quello che riguarda la franchigia, dal mercato al draft ai contratti. Tutto. La scelta ricade su George Young il quale aveva già ricoperto lo stesso incarico per Baltimore ed era stato uno dei massimi dirigenti dei Miami Dolphins.

Ray Perkins viene assunto come head coach mentre il passo successivo è quello di pescare un quarterback in grado di dare spessore al ruolo per gli anni a venire. In un draft non troppo ricco di talento, i Giants chiamano con la settima scelta assoluta Phil Simms, quarterback del piccolo Morehead State. Il pubblico presente in sala fischia la scelta ed intona in coro un classico “Phill who?” .

Il ragazzo, però, ha più stoffa del previsto, gioca una stagione dignitosa e, una volta tiratosi via di dosso il peso della pressione dell’esordiente, vince 4 gare di fila quando i Giants sono 0-5. La stagione si chiude 6-10, ma qualcosa di buono, all’orizzonte, si comincia a vedere.

1980 – Non tutto ciò che luccica è oro. Simms, invece di migliorare, peggiora, sia come percentuale di completi (andando sotto il 50%) sia come numero di intercetti. Il pubblico lo fischia, la squadra non reagisce mai e crolla 4-10 togliendosi solo la soddisfazione di battere Dallas 38-35 in novembre. E’ l’ottava stagione perdente consecutiva, la nona nelle ultime dieci.

1981 – Con una difesa che ha concesso 425 punti è impossibile non preparare un draft basato sul sistemare un solo reparto. Il general manager George Young spende così la seconda scelta assoluta del draft su Lawrence Taylor, per tutti “LT”. L’impatto è pazzesco, la squadra subisce 200 punti in meno, LT è eletto sia Defensive Player che Defensive Rookie dell’anno, la squadra si ritrova, Phil Simms gioca un discreto football e, dopo 18 anni, i Giants approdano ai playoff. Lo fanno grazie all’overtime chiuso dal kicker Joe Danelo su Dallas nell’ultima di campionato (13-10). Il 9-7 stagionale spedisce NY a Philadelphia dove ad attenderli ci sono i campioni di conference in carica.

Simms non ce la fa ed in campo va il giovane Scott Brunner, che gioca alla grande e guida i suoi all’impresa: 27-21 e biglietto per San Francisco dove si giocherà il Divisional. I Niners di Joe Montana avranno la meglio, 34-28, ma per lunghi tratti di partita New York sarà in grado di giocarsela quasi alla pari mantenendo anche una certa vicinanza di risultato. Quei 49ers vinceranno poi il Super Bowl.

1982 – Il miracolo non si ripete. Phil Simms si fa male e perde tutta la stagione mentre il suo soprannome cambia dal “Phil Boo” di contestazione al “Phil Ouch” che ne sottolinea l’attitudine all’infortunio. Al suo posto per tutto l’anno Scott Brunner che comincia con uno 0-2 prima che lo sciopero dei giocatori interrompa la stagione. Al rientro in campo, in novembre, è di nuovo sconfitta contro Washington, mentre durante il Thanksgiving Day a Detroit Lawrence Taylor si mette in evidenza con un intercetto riportato in meta per 97 yard. Il poco tempo a disposizione basta ad LT per essere eletto per la seconda volta di fila difensore dell’anno, e basta ai Giants per recuperare un po’ di terreno e chiudere 4-5. Nell’anno col maggior numero di gare di postseason di sempre, organizzate per recuperare un po’ di football giocato dopo i due mesi di stop dovuti allo sciopero, i Giants restano fuori per un soffio e coach Ray Perkins si dimetterà preferendo andare ad allenare al college Alabama University. Come capo allenatore verrà promosso Bill Parcells. Sarà la mossa che cambierà il corso della squadra.

1983 – Un inesperto Parcells fatica a tenere le redini della squadra e, con un Phil Simms non ancora al top, Scott Brunner guida di nuovo la squadra. L’organizzazione è però pessima sia in attacco che in difesa, il record finale è 3-12-1, e Young è già pronto a licenziare l’allenatore. Ci ripensa, alla fine, e decide di dare una chance in più al giovane Parcells.

1984 – Simms è finalmente recuperato, riconquista il posto da titolare e ripaga la fiducia con 4044 yard. I Giants chiudono 9-7 e, grazie al tiebreaker, tornano ai playoff. Alle Wild Card NY si impone a Los Angeles contro i Rams nonostante un inarrestabile Eric Dickerson, il quale compie il miglior risultato dell’anno proprio in quella partita. Il 16-10 finale è frutto dell’ottima prova del kicker Ali Haji-Sheikh, il quale segna tre field goal dopo essere miracolosamente sopravvissuto a un taglio che appariva scontato visti i numeri alzati in regular season: 17/33 nei field goal (51,5%) e 32/35 nei punti addizionali. Saranno di nuovo i San Francisco 49ers a fermare la corsa dei Giants (21-10).

1985 – La promozione di Joe Morris a titolare (runningback arrivato come seconda scelta al draft del 1982) dà la spinta necessaria che serve alla squadra per puntare in alto. Morris corre 1336 yard e segna 21 touchdown, mentre Phil Simms tocca quota 3829. Lawrence Taylor, intanto, continua a dominare in difesa, la sua fama di avversario terribile si ingigantisce dopo che un suo placcaggio distrugge la carriera del quarterback trentaseienne dei Washington Redskins Joe Theisman.

La squadra chiude 10-6 e va ai playoff dove, per la prima volta in 23 anni, ospiterà una gara di postseason all’interno delle proprie mura. E’ il battesimo del fuoco per il Giants Stadium che spinge i suoi ragazzi a battere San Francisco 17-3. L’entusiasmo è alle stelle, ma il volo a Chicago per il Divisional riporta tutti sulla terra. I Monsters of Midway versione anni Ottanta, colpiscono duramente i sogni di NY e sul 21-0 per i Bears cala il sipario della stagione degli uomini di Bill Parcells.

1986 – Da Chicago riparte la missione dei Giants, ormai decisi ad arrivare in fondo e abbastanza maturi per farlo. L’esordio in un Monday Night a Dallas è pessimo, la squadra perde di tre punti e fatica tutta sera a tenere a bada il runningback esordiente Hershel Walker. I G-Men, però, decollano: ne vincono 5 di fila, perdono a Seattle in ottobre e poi non si fermano più. Altre nove vittorie in stagione, consecutive, che fanno 14-2 e il titolo di MVP e di difensore dell’anno per Lawrence Taylor mentre Parcells è eletto miglior coach; poi le batoste rifilate a San Francisco (49-3) e Washington (17-0) nei playoff. Si va a Pasadena per il Super Bowl XXI: dopo una vita passata ad inseguire il giorno è finalmente arrivato.

I Giants sono al primo Super Bowl e pur avendo giocato una miriade di finali Nfl è dal 1956 che non vincono un titolo. Di fronte i Denver Broncos che chiudono in vantaggio 10-9 il primo tempo. Nella ripresa esplode però tutto il talento di Phil Simms, i Giants segnano 24 punti prima di concedere qualcosa agli avversari, chiudono la gara 39-20 e Simms è MVP del Super Bowl con l’88% dei lanci completati: un record.

1987 – Con l’anello al dito i Giants esordiscono perdendo la prima a Chicago e la seconda contro Dallas. Un altro sciopero dei giocatori rischia di interrompere la stagione, ma la Nfl decide di far giocare dei “sostituti”. Quelli dei Giants ne perdono tre di fila e, quando tornano i titolari, la squadra è 0-5, ormai troppo lontana dai sogni playoff. NY non entra mai in ritmo, vince qualche partita, ma non riesce ad aggiustare la situazione e chiude 6-9.

1988 – Si comincia con una sospensione di 4 turni ad LT per uso di sostanze illegali e la squadra comincia con un 2-2. Rientrato il leader difensivo e ritrovato il giusto passo, i Giants avanzano fino all’ultima di campionato dove giocheranno il derby contro i Jets sul 10-5: una vittoria e si va ai playoff. I cugini, però, non sono dell’idea di fare favori a nessuno e, nonostante il record non permetta loro di sperare in qualunque cosa, l’altra sponda del fiume Hudson decide di godersi lo spettacolo dell’eliminazione dei favoritissimi Giants piazzando un 27-21 che chiude le porte della postseason.

1989 – Nessun intoppo in campionato l’anno seguente, quando i Giants partono subito forte, vincono le prime quattro gare e chiudono in testa alla division grazie a un ottimo record stagionale (12-4). Ai playoff la squadra ospita i Los Angeles Rams e la partita arriva ai supplementari dove una giocata immensa di Jim Everett per Flipper Anderson permette ai californiani di chiudere 19-13.

1990 – I Giants spingono subito sull’acceleratore, vanno 10-0 si fermano solo a novembre dove sembra iniziare una crisi per i maggiori candidati al titolo Nfc. Sconfitti malamente a Philadelphia il 25 novembre per 31-13, i Giants perdono anche sette giorni dopo a San Francisco (7-3). La ripresa è con Minnesota ma, di nuovo, New York si arrende contro Buffalo perdendo 17-13 e dicendo addio a Phil Simms che per infortunio abbandona campo e stagione. Il suo sostituto è Jeff Hostetler che gioca un buon football nelle ultime due gare di stagione portando a casa altre due vittorie. Il record è di 13-3, ma con Hostetler in campo sono in pochi quelli disposti a scommettere sui Giants nei playoff. Ci penserà la difesa, che fermerà a 3 punti i Bears al Divisional (14-3) e metterà KO Joe Montana nel Championship vinto sui 49ers 15-13.

Con i due volte campioni in carica la sfida è vinta grazie al calcio di Matt Bahr spedito tra i pali con tre secondi rimasti sull’orologio dopo un fumble forzato sull’avversario Roger Craig che era costato la perdita del pallone e, subito dopo, della partita.

Al Super Bowl XXV i Giants sfidano la rivelazione dell’anno, quei Buffalo Bills che hanno impressionato tutti grazie ad uno spumeggiante, veloce e concreto gioco offensivo. Bill Parcells fa di tutto per lasciare meno palloni possibili all’attacco avversario e la sua tattica funziona grazie ai 40 minuti di possesso palla. Nonostante questo la gara non parte benissimo, i Giants vanno sul 3-0 per poi subire 12 punti consecutivi. Un drive lungo otto minuti e chiuso da una connessione tra Hostetler e Stephen Baker per 14 yard riportava però sotto la squadra della Grande Mela.

Un altro drive infinito il primo del secondo tempo, nove e più minuti prima di mandare in meta Ottis Anderson con una corsa da una yard. Vantaggio Giants vanificato dall’ottimo Thurman Thomas ad inizio dell’ultimo periodo. Di nuovo i Giants avanti grazie a un field goal e poi una serie di cambi di possesso ininfluenti che culminavano nell’ultimo drive dei Bills dove alla difesa dei Giants venne chiesto il miracolo, miracolo che si compì per metà. I G-Men fermarono l’attacco avversario, ma solo sulle 30 yard, posizione dalla quale Marv Levy mandò in campo Scott Norwood per un non semplicissimo calcio che valeva il titolo. Non sono poche 47 yard, ma non sono certo impossibili per un kicker Nfl che prepara da una vita un momento del genere.

Il field goal di Norwood finì fuori sulla destra del goal post nell’oramai celebre Wide right che consegnò ai Giants l’anello. Ottis Anderson corse 102 yard e fu eletto MVP della partita.

1991/92 – Bill Parcells rassegnò le dimissioni dopo sette stagione e due titoli vinti, ma lo fece in pessimo modo, 5 mesi dopo il Super Bowl e con la stagione alle porte. Senza i due maggiori assistenti, andati altrove a ricoprire il ruolo di head coach, i Giants non trovarono di meglio che promuovere l’allenatore dei runningback Ray Handley il quale, come prima cosa, preferì Jeff Hostetler al rientrante Phil Simms.

Due le stagioni sotto la guida di Handley, entrambe con Jeff Hostetler titolare, entrambe negative e chiuse 8-8 e 6-10.

1993 – Liberatosi Dan Reeves i Giants si gettano sul nuovo coach liquidando Handley e, come prima cosa, ritrovano Phil Simms titolare. I Giants ritrovano una forma strepitosa e se le due sconfitte finali contro Phoenix e Dallas impediscono loro di vincere la divisione, non precludono il passaggio del team ai playoff e l’assegnazione del titolo di allenatore dell’anno proprio a Reeves. Ai playoff la squadra si sbarazza dei Minnesota Vikings 17-10 prima di crollare malamente a San Francisco al divisional vinto dai Niners 44-3. La sconfitta a San Francisco chiuderà l’era di Lawrence Taylor, che proprio quel giorno giocherà la sua ultima gara nel football professionistico.

1994/96 – Con Taylor dice basta anche Phil Simms che la società liquida senza celebrazioni lasciando spiazzati i tifosi anche se poi la sua maglia verrà ritirata. Reeves promuove Dave Brown, il terzo quarterback in rosa. L’avvio non è male (3-0), ma la stagione si divide poi in due blocchi. Il primo, con 7 sconfitte di fila ed il secondo 6 vittorie consecutive che non bastano però a conquistare un posto ai playoff. Posto che non arriverà più con coach Reeves il quale, anzi, chiuderà la sua esperienza con due record negativi, mentre la sua scommessa Dave Brown è sempre più difficile da vincere.

1997 – Viene assunto Jim Fassel che ripercorre la storia del suo predecessore. La sua prima stagione, infatti, coincide con l’approdo della squadra in postseason e la conquista del titolo di allenatore dell’anno per sé. Servono quattro partite, di cui tre perse, per far saltare il posto di Dave Brown in favore del secondo anno Danny Kanell che, pur non giocando in maniera eccezionale, spreca poco. Il punto forte della squadra cresce però in difesa dove il defensive end Michael Strahan emerge come nuovo, fondamentale leader del reparto.

1998/99 – Danny Kanell non decolla e perde il posto in favore di Kent Graham che guida il team a 4 vittorie permettendo ai Giants di fermarsi sul 8-8 finale. Lo stesso Graham perderà il posto l’anno successivo e verrà sostituito dall’ex Carolina Panthers Kerry Collins, mentre il WR Amani Toomer conquisterà a sua volta il posto di primo ricevitore dando il via a quello che diventerà il futuro attacco dei NY Giants.

2000 – Anche Tiki Barber è promosso titolare nel ruolo di runningback ed i Giants cominciano la loro corsa verso il Super Bowl. Nonostante il buon gioco offensivo e un ritrovato equilibrio difensivo, la squadra non gode della fiducia di media e addetti i lavori che aspettano ogni passo falso per sottolineare le incertezze della squadra.

Fassel è infuriato, soprattutto quando, sul 7-2 in stagione, gli vengono rivolti dubbi sul vero valore della squadra che va a perdere due gare consecutive. L’head coach garantisce i playoff e i Giants andranno ben oltre; giunti col miglior record della Nfc in postseason, ma considerati “il peggior numero 1 del seed di sempre”, i G-Men eliminano 20-10 Philadelphia e 41-0 Minnesota, presentandosi al Super Bowl con qualche credenziale in più.

Dall’altra parte i Baltimore Ravens, una difesa mostruosa che annulla totalmente il gioco offensivo avversario concedendo punti solo agli special team. Finirà 34-7 per Ray Lewis e compagni senza troppe emozioni.

2001/03Michael Strahan miglior difensore Nfl è l’unica buona notizia insieme al suo record di sack segnati in una singola stagione. La squadra chiude in negativo l’anno in cui dovrebbe difendere il titolo di conference e si concede un rapido passaggio in postseason l’anno seguente (10-6) dopo un avvio altalenante e un finale di stagione esaltante. Ai playoff si va a San Francisco dove un 38-14 nel primo tempo è gettato al vento e si trasforma in rimonta e beffa con la vittoria dei 49ers 39-38 anche grazie ad un errore arbitrale nel finale che non permette ai Giants di tentare un field goal riparatore.

Un avvio strepitoso nella gara di apertura 2003 contro St. Louis fa sognare i tifosi che rimarranno ben presto delusi da una squadra senza anima, senza mordente e senza idee. I Giants arriveranno sul 4-4 tra prestazioni alterne prima di perdere tutte le ultime 8 gare stagionali. I tifosi, e i media, chiedono la testa di Fassel: verranno accontentati.

2004 – Arriva Tom Coughlin che lascia andare Collins e prende Kurt Warner. Al draft i Giants scelgono Philip Rivers con la prima chiamata ma ottengono uno scambio per avere Eli Manning e cedere la propria scelta ai San Diego Chargers più una prima e una seconda chiamata nei due draft a seguire. I Giants partono forte e, dopo la sconfitta a Philadelphia all’esordio, mettono in fila quattro vittorie e chiudono il mese di ottobre con un totale di 5-2. La squadra però si blocca, perde con Chicago concedendo 5 turnover e scivola anche contro Arizona. Coughlin tenta una mossa contestata ed azzardata al tempo stesso e lancia da subito Eli Manning come titolare. La cosa provoca il divorzio da Kurt Warner che verrà consumato a fine stagione, mentre Manning si dimostra impreparato ad un esordio così anticipato e la squadra va al tappeto. Le prime sette partite da titolare del fratello minore di Peyton Manning sono tutte perse, ed il rookie salva la faccia giocando molto bene solo l’ultima, contro Dallas, lanciando il TD pass decisivo a pochi attimi dal termine per il 28-24 finale. La stagione si chiude 6-10.

2005 – Il primo anno interamente da titolare di Manning è caratterizzato da un avvio molto positivo che culmina nello splendido drive finale che spinge i Giants ad avere la meglio su Denver, in rimonta, il 23 ottobre, ultima gara vista da Wellington Mara prima della morte dopo 75 anni di una presidenza cominciata quando aveva solo 14 anni. L’arrivo in squadra di Plaxico Burress offre al giovane quarterback un bersaglio in più per far esplodere l’attacco, ma è la gestione di Coughlin ad essere sotto osservazione. Il coach non ha pazienza, manda spesso allo sbaraglio il proprio inesperto quarterback, chiama giochi troppo forzati e, spesso, troppo prevedibili. L’uomo in più è Tiki Barber che da buon runningback si è trasformato in un vero e proprio playmaker offensivo; per il secondo anno di fila mette insieme più di 2000 yard totali dalla linea di scrimmage arrivando al massimo in carriera di 2390 (1860 corse e 530 ricevute con 11 mete), risultato che è il secondo di sempre dopo le 2429 di Marshall Faulk nel 1999. I Giants chiudono comunque 11-5, vincendo forse più partite di quanto il valore sul campo non abbia evidenziato e, i problemi e l’inesperienza, esplodono tutti ai playoff dove, al Giants Stadium, la squadra di Coughlin esce subito alle Wild Card battuta 23-0 dai Carolina Panthers.

2006 – Partenza a strappo, tre partite ed un 1-2 costruito anche sulla sconfitta nella gara d’esordio giocata tutta in famiglia tra i Colts di Peyton e i Giants di Eli, vinta dai primi 26-21 in quello che viene definito Manning Bowl. I Giants si riprendono comunque piuttosto bene portandosi 6-2 ma, alla prima difficoltà, riemergono i soliti problemi. Di gestione, di mentalità, di spogliatoio. Dopo il passo falso coi Bears il 12 novembre, New York infila altre tre sconfitte di fila e arriva a giocarsi il tutto per tutto sul 7-8, battendo Washington e ringraziando la mediocrità della Nfc per aver concesso una qualificazione a 8-8.

Ai playoff il sogno dura di nuovo una partita sola, con Tom Coughlin che gestisce bene la gara sull’asse Manning-Burress per poi abbandonarla e riprenderla solo alla fine, quando i Giants rimettono in piedi una partita già persa che, comunque, Philadelphia porta ugualmente a casa con un field goal nel finale (20-23). Tiki Barber decide di ritirarsi dopo una stagione da 2127 yard totali guadagnate in stagione. Passerà alla carriera televisiva togliendosi una o due stagioni per via di uno spogliatoio bollente, di un coach con cui non andava d’accordo né a livello umano né tecnico, per una situazione ingestibile e un quarterback senza leadership per poter puntare al titolo. Si sbagliava.

2007 – I tifosi devono digerire un’altra stagione con Coughlin, nel quale non credono più. In molti c’è la convinzione che, anche a livello di leadership, il coach dei Giants non abbia più il controllo della squadra. Dopo un pessimo avvio che coincide con le sconfitte contro Dallas e Green Bay, New York si riprende, vince sei gare di fila, tra cui la prima prova ufficiale giocata fuori dai confini nordamericani (a Londra, contro i Miami Dolphins: vittoria 13-10 e Manning che diventa il primo realizzatore “europeo” segnando su corsa). Poi ricominciano i soliti problemi di metà stagione: tra qualche infortunio eccellente ed il classico calo psico-fisico, i Giants avanzano a singhiozzo e due vittorie che hanno del miracoloso con Chicago e Philadelphia tengono a galla un team che perde (male) contro Dallas, Minnesota e Washington.

Il 23 dicembre i Giants sono sotto 14-0 a Buffalo e stanno giocando davvero male. Questo risultato porterebbe la squadra a un record di 9-6 con ultima partita da giocare con i New England Patriots imbattuti; praticamente è come dire addio ai playoff. Manning giocherà una pessima partita nella bufera di Buffalo, con 2 intercetti e nemmeno un TD pass, ma sarà Brandon Jacobs a suonare la carica segnando le due mete del pareggio. Il vantaggio ottenuto grazie a un field goal di Lawrence Tynes viene vanificato nel terzo periodo da un altro touchdown di Buffalo. E’ qui che i Giants presentano alla Nfl Ahmad Bradshaw, giocatore arruolato per sostituire l’infortunato Derrick Ward, rivelazione di inizio anno. Bradshaw corre 151 yard segnando una meta da 88 ed insieme alle 143 corse da Jacobs distrugge la difesa dei Bills. I Giants vinceranno 38-21 perdendo poi con i Patriots l’ultima gara 38-35 dopo aver giocato molto bene ed essere stati in vantaggio a lungo durante la gara.

I playoff raggiunti col record di 10-6 partono male a Tampa con un primo quarto di nulla per una squadra in cui nessuno crede, per via di andamenti troppo poco lineari, un coaching staff poco considerato, una compattezza quasi inesistente e l’assenza, tra gli altri, del tight end Jeremy Shockey, arma aggiunta del gioco aereo e tra i migliori in Nfl nel ruolo. I Buccaneers vengono comunque sconfitti dopo che, dal secondo periodo, i Giants cominciano a ritrovarsi, giocando un football pulito, senza rischi e forzature. Ottimo Amani Toomer e pratica archiviata con un 24-14.

Si va poi a Dallas, dove ci comincia a intuire che questa squadra è segnata dal destino; NY sbaglia, di nuovo, pochissimo, gioca compatta e con costanza, risponde ad ogni offensiva avversaria, segna la meta che li tiene a galla a fine primo tempo quando i Cowboys avrebbero potuto prendere il largo se il tempo fosse finito prima. Ma Manning ha giocato il drive della vita, il primo di tanti. Nella ripresa i Giants si trovano davanti e giocano un ultimo quarto da leggenda, fermando ben quattro drive offensivi avversari culminati nella propria metà campo e difendendo il 21-17 che permette loro di vendicare le due sconfitte in regular season e scoprendo una difesa che gira finalmente a mille proprio nel momento clou della stagione. Altra vendetta si consuma anche a Green Bay dove i Packers vengono dominati in lungo e in largo ma approfittano dell’impossibilità avversaria di scrivere la parola fine sulla gara, anche per via di due errori di Lawrence Tynes su field goal. La gara va ai supplementari, Green Bay ha la palla, ma Brett Favre si fa intercettare e lascia il gioco agli avversari che si ritrovano ancora con Tynes pronto a battere da 47 yard, con un freddo polare (circa 30 gradi sotto lo zero) e una fastidiosa aria. Tynes infila i pali dalle 47 yard, posizione dalla quale mai nessuno, ai playoff, aveva colpito all’interno della Frozen Tundra.

I Giants approdano così al Super Bowl XLII contro i favoriti ed imbattuti New England Patriots, a caccia di anello, record e storia. La favola si compie del tutto nella notte di Glendale, in Arizona, dove NY gioca la partita perfetta con una difesa, guidata dal coach Steve Spagnuolo, semplicemente superba. I Giants vanno avanti 3-0 giocando il drive più lungo della storia del Super Bowl in termini di minuti e concedono 7 punti a inizio secondo quarto. Comincia poi una battaglia difensiva che vede i Giants imprigionare il gioco di Tom Brady e soci che appaiono, dopo mesi, vulnerabili e meno lucidi del solito. Nel quarto periodo cominciano le danze: David Tyree riceve per il TD del secondo vantaggio Giants, Randy Moss risponde per il nuovo avanzamento dei Patriots 2 e 42 dal termine.

Pallone decisivo nelle mani di Manning che, dopo degli splendidi playoff, cerca la consacrazione e quel titolo che, l’anno prima, è stato vinto dal fratello più vecchio, più famoso, più ricco e più bravo. I Giants impostano un drive perfetto e la giocata da leggenda esce proprio dalle mani di Manning che su un 3° e 5 sulle proprie 44 si vede arrivare addosso i difensori avversari, evita il sack una prima volta sgusciando sulla propria destra, un secondo sack, subito dopo, spingendosi in avanti di un passo quando le mani di un difensore avversario sono già dentro alla maglia dietro al collo. In quel momento lancia il pallone a David Tyree, fino a poco prima uno dei tanti giocatori che passano in Nfl, poi uno di quei pochi a poter segnare in un Super Bowl, infine l’uomo della provvidenza, della ricezione migliore di un Super Bowl: Tyree vola in cielo braccato da Rodney Harrison, i due si contendono la palla che, alla fine, resta nella mano del wide receiver dei newyorkesi che la ferma con l’aiuto del casco. Un completo da 32 yard che toglie i Giants dalle sabbie mobili e taglia le gambe ai Patriots.

In precedenza i Giants avevano convertito, in quello stesso drive, un quarto down; subito dopo sarebbero seguiti un sack, un incompleto, ed un’altra palla magica, presa da Steve Smith che usciva dal campo fermano il tempo .La difesa dei Patriots, ormai troppo stanca, collassa sull’ultimo lancio dove un Plaxico Burress dimenticato da tutti e perso dal cornerback che avrebbe dovuto incollarcisi, riceve in endzone per il touchdown della vittoria. Il 17-14 ferma il cronometro a 35 secondi dalla fine che non basteranno ai Patriots. I Giants ribaltando tutti i pronostici, per tutti i playoff, vincendo sempre in trasferta e persino contro gli imbattibili scrivono una storia diversa da quella attesa da tutti, come già nel 1934 contro gli inarrestabili Chicago Bears e, con Eli Manning MVP, conquistano il terzo Super Bowl e l’ottavo titolo totale della loro storia. Questa squadra, capace di vincere dieci volte in trasferta in tutta la stagione, vede i propri eroi ribattezzati “Road Warriors”, mentre a NY la festa esplode per una vittoria tanto inattesa a settembre quanto meritata.

2008 – La squadra riparte con determinazione e difende alla grande il titolo conquistato in gennaio. La stagione regolare è una lunga corsa con pochi rallentamenti e una flessione finale che non pregiudica il miglior record in Nfc (12-4). Disturbata dai guai di Plaxico Burress (eliminato dai giochi da un colpo di pistola alla gamba che il giocatore si sarebbe fatto… sparandosi da solo) la squadra arriva ai playoff comunque da favorita, ma al Giants Stadium per il Divisional i Big Blue non sembrano più quelli dell’anno prima e crollano giocando piuttosto male contro Philadelphia venendo subito eliminati.

Questa la storia antica e costruita su imprese e leggende dai NY Giants, formazione tra le più vecchie presenti nella Nfl e capace, negli ultimi vent’anni, di aggiudicarsi ben tre Super Bowl giocandone addirittura quattro. Con 7 titoli totali è la terza squadra più vincente di sempre nella lega.

Franchise Book

I Giants hanno ritirato 11 numeri dalle casacche disponibili: Ray Flaherty (end – #1), Tuffy Leemans (RB – #4), Mel Hein (C – #7), Phil Simms (QB – #11), Y. A. Tittle (QB – #14), Frank Gifford (RB-WR – #16), Al Blozis (tackle – #32), Joe Morrison (RB-WR – #40), Charlie Conerly (QB – #42), Ken Strong (RB – #50), Lawrence Taylor (LB – #56).

Gli Hall of Famer ad aver servito la maglia dei Big Blue sono 27, tra cui vale la pena ricordare Wellington Mara, Steve Owen, Frank Gifford, Lawrence Taylor, Sam Huff, Larry Csonka, Jim Thorpe, Frank Tarkenton e Y.A. Tittle.

I Washington Redskin con 87 sconfitte sono il team battuto più volte dai Giants i quali, a loro volta, lasciano ai Philadelphia Eagles il primato opposto con 68.

Il record di tutti i tempi della squadra fondata sulla dinastia dei Mara è 638-534-33 (618-510-33 in regular season e 20-24 ai playoff). Il miglior record realizzato in singola stagione è il 14-2 del 1986, coinciso con il primo trionfo ad un Super Bowl, il peggiore è invece il misero 1-12-1 totalizzato nel 1966.
Cinque gli MVP stagionali: Mel Hein nel 1938, Frank Gifford nel 1956, Charle Conerly nel 1959, Y.A. Tittle nel 1963 e Lawrence Taylor nel 1986 con quest’ultimo insignito anche del Defensive Rookie of the Year nel 1981 e tre volte del premio di difensore dell’anno (1981, ’82 e ’86).
Tre giocatori sono invece risultati MVP nei tre super Bowl vinti: Phli Simms nel XXI, Ottis Anderson nel XXV e Eli Manning nel XLII.

All-time leaders (offense)

Phil Simms 33462 passing yard
Tiki Barber 10499 rushing yard
Amani Toomer 8917 yard

Steve Owen con 151 vittorie è il coach più vincente della storia della franchigia.

Teams_timeline | by Alessandro Santini | 19/03/08

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