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Dave Casper: The Ghost

Intelligente ma strano.
Questa era la nomea di Dave Casper, uno dei più grandi tight ends di tutti i tempi.
Del resto era piuttosto strano vedere negli Oakland Raiders un All-American proveniente da Notre Dame, perdipiù con un curriculum scolastico di assoluto rispetto, essendosi laureato in economia con il massimo dei voti.
Posso apparire un po’ strano a chi mi incontra per la prima volta, ma più che altro penso di essere unico.
Quando arrivai a Oakland vivevo e mi comportavo come un cowboy. Del resto ero stato piuttosto strano per gli standard di Notre Dame, ma ero uno dei più normali tra tutti i Raiders. Mi piaceva bere ed ero un bravo ragazzo cattolico, ma non amavo la vita da superstar.
Una mente libera.
La sua avversione per gli allenamenti era celebre.
Nel suo modo di vedere le cose, era inutile perdere tempo nel cercare di eliminare gli errori. Molto meglio usare quello stesso tempo per studiare e applicare gli aggiustamenti da adottare nelle varie situazioni di gioco.
In poche parole, Casper non credeva nell‘”allenamento perfetto”, che la ripetizione all’infinito di schemi e metodi migliorasse davvero la squadra.
In allenamento puoi sembrare bravo quanto vuoi, ma non impari a come gestire gli imprevisti che possono capitare in partita. Inoltre, non mi sembrava una buona idea darci dentro contro i miei compagni di squadra, era solito dire.
Dave era un ragazzo intelligente, e gli allenamenti lo annoiavano a morte, ricorda John Madden, suo head coach a Oakland.

Questa sua idiosincrasia verso gli allenamenti affonda le radici ai tempi della Chilton High School di Chilton, Wisconsin. Nel suo senior year, il 1969, Casper era un All-State linebacker che guidò la squadra ad una stagione memorabile, ancora viva nel pensiero degli abitanti di quella cittadina.
Finimmo la stagione imbattuti, senza mai subire punti. E ci allenammo in tutto per 75 minuti. Buona parte dei ragazzi dovevano tornare a casa dopo le lezioni per aiutare le proprie famiglie a mungere le mucche, ricordò Casper.
Questi era un’eccezione in una famiglia di pessimi sportivi. Nessuno dei miei fratelli aveva la minima predisposizione verso qualsiasi sport, così come mio padre.
Finita la high school, Casper accettò una borsa di studio da Notre Dame dove giocò agli ordini del leggendario head coach Ara Parseghian.
Quattro anni dopo la stagione perfetta della Chilton High, Casper fu di nuovo capitano di una squadra imbattuta, stavolta i Fighting Irish del 1973, che vinsero il National Championship battendo alabama nello Sugar Bowl. Casper ricevette anche l’onore personale dell’inclusione tra gli All-Americans del 1973.

Ma l’attenzione della stampa su Casper era piuttosto blanda, dato che per i primi due anni giocò da offensive tackle, salvo poi essere convertito in tight end all’inizio del suo junior year.
Nonostante avesse chiuso la carriera collegiale con la vittoria del titolo nazionale, a Casper non andò mai particolarmente a genio la vita universitaria.
A Notre Dame le cose non erano facili e non c’era molto da divertirsi. Ma sono stato fortunato ad aver giocato in ottime squadre.
I Fighting Irish giocavano un football molto fisico, che esaltava le doti di Casper, tight end dalla stazza del lineman, poderoso bloccatore con buona velocità di base e ottime mani.
Tutte qualità che alla vigilia del draft del 1974 lo resero un prospetto molto interessante.
Alla vigilia del giorno del draft seppi che c’erano 3 o 4 squadre interessate a me. I Los Angeles Rams mi avrebbero voluto scegliere come guardia, così come i Pittsburgh Steelers. I New England Patriots mi inquadrarono come linebacker. I Raiders erano gli unici interessati a farmi giocare come tight end. In ogni caso, avrei potuto giocare anche come offensive lineman, specialmente con gli Steelers, se questi mi avessero riempito di steroidi e pompato ulteriormente i miei muscoli.
Alla fine gli Oakland Raiders presero il tackle Henry Lawrence al primo giro e Dave Casper al secondo, con buona pace di tutti.
Casper non sapeva praticamente nulla dei Raiders.
Tutto quello che sapevo è che avevano delle uniformi molto fighe.
Quattro giorni dopo aver conseguito la laurea a Notre Dame, Casper si sposò e poi volò ad Oakland.
Il primo giorno al training camp fu un vero incubo. Ero stanco, e tutto andò per il verso sbagliato. Mi infortunai anche ad un tendine. C’era poca gente in giro per via dello sciopero dei giocatori, e non mi allenai per tre settimane.
Queste difficoltà iniziali lo rallentarono al punto da fargli trascorrere gran parte del suo anno da rookie in panchina. La prima volta in cui dimostrò di essere un giocatore di alto livello avvenne per caso negli special teams. Casper fu schierato nella kickoff formation al posto di un compagno infortunato. Si liberò di un paio di blocchi, sprintò verso la end zone avversaria e placcò il ritornatore prima sulle 17 yards, sorprendendo tutti.
Anche lo stesso John Madden, che gridò: Cosa diavolo ci facevi in campo?
L’affermazione definitiva, stavolta come tight end, avvenne a metà della stagione succcessiva, il 1975, quando rimpiazzò in una partita contro i Pittsburgh Steelers l’infortunato Bob Moore.
Entrai, e ricevetti 5 passaggi in 5 minuti, dopodichè divenni il titolare, disse Casper. Così dopo aver passato quasi 2 anni in panchina, diventai un Pro Bowler per i 5 anni successivi.
Le sue caratteristiche ben si sposavano con lo stile dell’attacco dei Raiders: Eravamo più sofisticati di tante altre squadre. Ma in fondo correvamo parecchio, ed ero un ottimo bloccatore. Il fatto che fossi anche bravo in ricezione era grasso che colava.

Dal 1976 al 1978, Casper fu il leading receiver dei Raiders con una media di 55 ricezioni a stagione (12.5 yards per ricezione).
Nel 1976 fu tra i protagonisti del Super Bowl XI, ricevendo il primo touchdown nella vittoria per 32-14 contro i Minnesota Vikings.
A Stabler non importava a chi lanciare. Si supponeva che io mi trovassi in una certa zona, e riuscivo a farlo rapidamente. Si trattava solo di essere al posto giusto al momento giusto. E John Madden era un coach con dei metodi semplici ma efficaci. Era facile eseguire bene i suoi giochi, e avrei voluto che avesse aggiunto qualche combinazione in più al suo playbook. In fin dei conti avevamo solo 4 o 5 schemi di corsa, e altrettanti per i passaggi. Ripetevamo la stessa azione anche 4 volte nella stessa partita, ma Stabler era molto bravo nell’orchestrare tutto ciò. Non era un generale di campo, e non aveva neppure chissà quale conoscenza del gioco ma la sua presenza era incredibile. Kenny chiamava dei giochi che non avevano alcun senso, ma riusciva a farli funzionare! Non era un quarterback stupido, ma non era esattamente il tipo che studiava il game plan.
Con il tempo, la combinazione Stabler-Casper si mostrò terribilmente efficace. La stazza di Casper faceva sì che si creasse uno spazio tra i linebackers e i defensive backs in cui Stabler potesse indirizzare i suoi lanci. In poche parole, si miglioravano a vicenda.
Dave sarebbe stato capace di scendere in campo, ricevere 8 passaggi per 120 yards e poi andare a bere, a suonare la sua chitarra e a pescare. Per poi ritornare nell’huddle e parlare del pesce che aveva pescato, osservò Ken Stabler.
La più grande impresa del duo Stabler-Casper avvenne la vigilia di Natale del 1977, in occasione del Divisional Playoff Game tra Oakland Raiders e Baltimore Colts. I Raiders sconfissero i Colts al Memorial Stadium di Baltimore per 37-31 dopo 2 supplementari.
La partita entrò nella storia come “Ghost to the Post”, sia per il nickname di Casper (quel giorno autore di 3 touchdown su ricezione) che per la traiettoria che corse nella ricezione da 44 yards che rese possibile il field goal del pareggio allo scadere dell’ultimo quarto.
In quella memorabile azione, Casper vide l’ovale volare sopra di se da sinistra a destra. Girò la testa, aggiustò leggermente la traccia, saltò e fece una ricezione spettacolare.
Casper fu poi decisivo, ricevendo anche il touchdown della vittoria.
La partita è tutt’ora la più lunga della storia dei Raiders, e fa parte di quelle memorabili come l’ Heidi Game, la Immaculate Reception, The Sea of Hands e The Holy Roller, che vide lo stesso Dave Casper come protagonista.
Dopo 8 stagioni, il feeling tra Dave Casper e gli Oakland Raiders svanì e nel 1980 fu spedito agli Houston Oilers. Non furono le prestazioni sul campo di gioco a causare questa decisione, ma il disaccordo pressocchè totale con i metodi dello staff di Tom Flores, divenuto head coach nel 1979 dopo il ritiro di John Madden.
Ogni bravo coach ti dirà che ero un giocatore incredibilmente facile da allenare, osservò lo stesso Casper. Non facevo errori mentali, e cercavo di fare degli aggiustamenti in campo. Ad un certo punto un coach ebbe da ridire sulla mia tecnica di bloccaggio. Quel tizio non aveva mai bloccato in vita sua un linebacker o un defensive end, e voleva a tutti i costi che io cambiassi stile. Ma i fatti parlano per me: Mark van Eeghen fu il leading rusher della NFL quando giocavo a Oakland, e lo stesso avvenne con Earl Campbell quando passai agli Oilers.
Proprio come Ken Stabler, Dave Casper non ebbe timore a contestare apertamente l’organizzazione.La situazione esplose all’inizio della stagione 1980. I Raiders avevano iniziato con 3 vittorie e 3 sconfitte, e durante un meeting di squadra il tight end non andò troppo per il sottile.
Avevamo un record di 3-3, con 30 punti di media segnati dall’attacco e 30 di media concessi dalla difesa. Durante quella riunione c’era gente che diceva che avremmo dovuto giocare meglio come squadra. In realtà c’era Gene Upshaw che stava giocando malissimo, e altri davvero di merda e feci alcuni nomi. Penso che quando si vince, il merito è della squadra. Ma quando si perde, allora è per colpa dei singoli individui. Anche io avevo delle colpe, ma ero semplicemente stanco di quei discorsi generalizzati.
In un batter d’occhio, Al Davis organizzò uno scambio che mandò Casper agli Houston Oilers in cambio della prima e della seconda scelta del draft del 1981 e della seconda scelta di quello del 1982.

Casper, tight end con la testa di un offensive tackle, si trovò a bloccare per le corse di Earl Campbell per 2 stagioni e mezzo, e per lui fu il paradiso.
Alla fine fu una buona decisione per entrambe le parti: Casper ebbe un’ottima stagione, mentre i Raiders tornarono a vincere il Super Bowl, con Ray Chester come tight end titolare.
All’inizio della stagione 1983, gli Oilers lo spedirono ai Minnesota Vikings.

Dopodichè, a dimostrazione che in fondo non c’erano rancori nei confronti dei Raiders, tornò in Silver & Black nel 1984, ultima stagione della sua carriera.
Non c’erano problemi con Al Davis fin quando non ti capitava di incrociarlo. Il mio compito era presentarmi in campo e giocare, tutto qui. L’ho incontrato personalmente soltanto una volta nella mia vita. Nessuno conosce Al. I giocatori non lo conoscono, e forse neppure Al conosce se stesso.
Come molti altri compagni di squadra, Casper ebbe problemi a costruirsi una nuova vita dopo il ritiro dai campi di gioco.
Prima tornò a Minneapolis, dove prima iniziò a vendere barche, poi a lavorare per un altro ex alunno di Notre Dame. Quindi si riciclò nel campo delle assicurazioni. Dopo che i guadagni di una vita erano andati in fumo a causa della bancarotta della Technical Equities, Casper tornò nella Bay Area e riuscì a ripartire da zero grazie al duro lavoro, diventando un uomo d’affari di successo.
Presi la decisione di ricominciare daccapo, in maniera radicale. Le mie radici tedesche mi fanno propendere per gli approcci a lungo termine. E la mia mentalità da uomo di linea offensiva è stata fondamentale per superare quella fase così critica e dolorosa.
Nel 2002 arrivò l’onorificenza massima per un giocatore di football: l’ingresso nella Pro Football Hall of Fame, che lo elevò ufficialmente all’empireo dei tight ends assieme a gente come Mike Ditka, John Mackey, Kellen Winslow e Jackie Smith.

Bibliografia

- www.raiders.com
- www.espn.com
- “Hey, Wait a Minute (I wrote a book!)”, John Madden
- “Tales from the Oakland Raiders”, Tom Flores

Legends | by Roberto Petillo | 02/06/10

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