Menu:

Ricerca articolo


Emmitt Smith

Questa è l’ultima delle tre mini-biografie sui tre giocatori che hanno riportato a luce a Dallas dopo troppi anni passati nell’ombra. Dopo aver descritto le gesta di Aikman e di Irvin, tocca a colui che ha corso sul campo da football con la palla in mano per yards, stabilendo il record di ogni tempo: Emmitt Smith.

Gli inizi

Emmitt Smith III nasce a Pensacola, in Florida, il 15 maggio 1969, ha 4 fratelli e come la stragrande maggioranza dei giocatori, le sue origini sono umili. Suo padre è infatti un autista di autobus, che però nei week end gioca come semi professionista a football nella locale Florida League.
Ma a differenza di molti colleghi non avrà periodi di indecisione tra tanti sport, e non finirà nemmeno nel football per caso, perchè nasce con questo sport nel sangue. Sua madre Mary ricorda che quando neanche sapeva camminare, però quando piangeva, lo metteva davanti alle partite di football e si calmava.
Il piccolo Emmitt passa tutta l’infanzia a giocare nel cortile con i vicini, con i fratelli e con suo cugino più grande “Ogni domenica, dopo la chiesa, ci mettevamo a giocare”, e a 7 anni già entra nel primo “programma”, iscrivendosi alla mini-mite division della Salvation Army Optimistic League come QB “E scelsi il 12 del mio idolo Roger Staubach. Il ragazzo passava ogni singolo istante della sua giornata con il pallone, tanto che quando, a fine carriera, gli verrà chiesto come era riuscito a tenersi fuori dai problemi tipici dell’adolescenza del tipo entrare nelle prime gang, iniziare ad assumere droghe, lui risponde: “Non è mai stato un problema”. Questo perchè era semplicemente troppo occupato a giocare a football, a diventare più forte e veloce, a tenersi in forma.
In Florida cresce come giocatore, va alle superiori e fa vedere le sue qualità all’Escambria High School, la più vicina a casa sua. Questa scuola è reduce da 17 stagioni perdenti negli ultimi 18 anni, e il nuovo coach Dwight Thomas, arrivato nel 1983 come Smith, ricorda che “Era il peggior programma che avessi mai incontrato. Di sempre”. Ma con Smith le cose stanno per cambiare: “Gli altri ragazzini si comportavano per la loro età, scorrazzavano per il campo e non prendevano gli allenamenti sul serio. Tutti. Ma non Smith. Tutto ordinato, si alzò e mi prese per la mano: salve coach, io sono Smith. Così sicuro di sé ed educato. Ho tre figli, e avrei voluto che fossero stati come Emmitt. E non sto parlando delle capacità atletiche”.
Al primo allenamento, si schiera dietro al centro nella I-formation, ma il coach lo sposta dietro al fullback. “Ma coach, io sono un quarterback”, “No” la risposta di Thomas, “Ti daremo la palla e con quella dovrai correre”. È così che Emmitt diventa un running back. Cambia il suo numero di maglia, che diventa il 24, ed inizia a guardare così i movimenti dei grandi RB, come Tony Dorsett, Walter Payton, Earl Campbell, Bo Jackson. E le sue cifre sono subito spaventose: corre per oltre 1500 yards e segna 19 TD il primo anno, sfiora le 2500 segnando 26 TD l’anno seguente. Con queste cifre trascina la sua scuola al primo titolo statale, vinto contro St. Peterbourgh, e nel suo ultimo anno corre quasi 3000 yards per 33 TD.
Coach Thomas ricorda che: “In 4 anni abbiamo vinto due titoli, facendo solo 3 cose: dare la palla ad Emmitt, far lanciare la palla ad Emmitt, tirare la palla ad Emmitt. Non era un segreto. Tutti sapevano che avremmo dato la palla a lui. Era solo questione di decidere come”. Era così forte che in una partita, tutta la squadra difensiva si era attaccata sul casco il suo numero 24. E quando era in panchina, incitava i compagni, non si lamentava mai di niente e per coach Thomas era.. “Un ragazzo speciale”.

Nel 1987 viene eletto miglior giocatore di high school della nazione dalla Gatorade, che gli regala come premio due biglietti per il super bowl, e lui ci va con il QB suo compagno di squadra Johnny Nicholson, che è anche il suo miglior amico. La partita è Denver – New York Giants al Rose Bowl di Pasadena. Prima che la partita inizi, l’atmosfera coinvolgente fa voltare Emmitt verso il suo amico “Io un giorno giocherò il Super Bowl. E lo giocherò proprio qui!”.
Ad Escambria Emmitt conclude la carriera con quasi 9000 yards corse (seconda prestazione di sempre nella storia del football delle superiori), 106 TD, due titoli dello stato, un record totale di 42-7 e la considerazione tuttora validissima che il ragazzo è uno dei più grandi All American di tutti i tempi per i giocatori offensivi di una high school.
Insomma, emana già una luce abbagliante. Ciò nonostante, la maggior parte degli scout lo ritiene troppo piccolo e lento perchè possa performare ad alto livello anche nella NCAA. La lista delle offerte è allora ridotta ad Auburn, Nebraska, e Florida, così alla fine decide di non allontanarsi troppo da casa, entrando a far parte del programma dei Gators.

Ma già alla seconda partita fa capire a tutti gli scout che lo hanno snobbato quanto si sbagliavano su di lui: corre più di 100 yards, che gli fanno guadagnare il posto da titolare, ed al debutto nello starting lineup… bè, mette a referto 224 yards contro Alabama in 34 portate, record dell’università. Diventa inoltre il primo freshman della storia a correre più di 7 partite da 100 yards, e dimostra uno stile che il giornalista di Sport Illustrated Telander ritiene: “Impossibile da descrivere in poche parole. Lui corre addosso, attacca, scivola via, evita i difensori yard dopo yard, e non corre mai senza guadagno. Non è incredibilmente veloce, o ingannevole o elusivo. Semplicemente non può essere fermato”.
Nella sua carriera da alligatore, ha settato i record di yards corse (1599) e pareggiato quello di TD (14) in un singolo anno, e vantava 23 partite da più di 100 yards corse su 34 totali. Il tutto condito da 53 nuovi record dell’università. Viene nominato sempre All American, e dimostra di riuscire a mantenere il suo standard di rendimento mostrato all’high school anche a livello NCAA.
Queste cifre messe insieme in 3 anni di gioco gli fanno decidere di compiere il grande passo, e si dichiara eleggibile al draft con un anno di anticipo, saltando quindi la stagione da senior.
Ma sua madre gli ripeteva sempre: “Il football può finire in qualsiasi momento, mentre l’educazione durerà per sempre”, così per lasciare l’università anzitempo, le promette che si laureerà comunque. E così sarà: Emmitt spenderà ogni off season per studiare e dare esami, così nel 1996 si laureerà in Public Recreation.

Il salto tra i pro

Nonostante le cifre ed i record, il ragazzo non è il top running back indicato dagli scout, ed anche se ritenuto un ottimo giocatore, è la sua struttura fisica a fargli perdere ancora appeal. Smith è basso di statura, e questa altezza non gli comporta una velocità superiore ai pari ruolo perchè ha una struttura fisica molto robusta. Stesso discorso che veniva fatto all’uscita dall’high school, solo che questa volta sono i difensori professionisti che vengono ritenuti troppo grossi e forti per lui. Ergo, viene passato dalle prime 16 squadre che devono scegliere, ed anche dai New York Jets che alla due decidono di andare su di un altro running back, Blair Thomas di Penn State.
La scelta 17 tocca agli Steelers, ma i Cowboys reduci da una difficilissima stagione da 1-15 e in piena ricostruzione, decidono di fare una trade a salire. Dopo aver mandato via Landry, i White, con una nuova dirigenza, un nuovo coach e le precedenti scelte di un QB e un top WR nei draft passati, devono prendere un RB, perchè la rivoluzione nella franchigia texana era partita dalla cessione di Hershel Walker in cambio di scelte, e quindi lo spot di RB è scoperto. Jerry Jones decide di puntare sul gator, ma non è solo questione di fortuna se Emmitt approda in Texas. Dallas l’avrebbe preso anche se avesse avuto una posizione più alta nelle scelte, perchè lo tenevano d’occhio da molto. Il loro scout Joe Brodsky dichiara subito dopo il draft: “Bisogna essere degli idioti per non riconoscere questo talento. Quello che ho trovato io è un tipo di persona che non perde mai un allenamento, che gioca sopportando il dolore. Ho detto a coach Johnson che questo è un lavoratore che non si lamenta mai, e che gli toglierà il fiato, perchè non lo vorrà mai togliere finchè non avrà segnato”.
La considerazione per questo giocatore è così grande che Jimmy Johnson confessa che quello era il loro quarto giocatore sul board, e lo stesso viene dichiarato la sera stessa dal padrone della franchigia Jerry Jones ad una radio texana. E questo è un eccesso di euforia che dà il coltello dalla parte del manico all’agente di Emmitt che alla discussione per il contratto non perde l’occasione di farlo presente al proprietario dei ‘boys. Così la discussione per la firma si protrae per tutta la off season, e viene conclusa alla vigilia della prima partita di stagione regolare, che Emmitt si trova ad affrontare senza aver giocato un singolo match di pre-season.
Ma la ricostruzione è ora completata, questo conta, anche se Michael Irvin aveva qualche dubbio sul nuovo compagno: “Mi ricordo che quando ho visto quel ragazzo, vestito da MC Hammer sul palco, ho pensato: ma chi diavolo è quel tipo?! È così basso… ma quando è entrato nel campo di football, era cambiato in superman. Era un talento incredibile”.
Inizialmente Johnson lo utilizza con parsimonia, anche per farlo ambientare al sistema, ma Emmitt non è contento del trattamento “Cosa posso fare con 12 portate a partita? 100 yards? Non sono Superman. Sono un gran giocatore, ma non sono superman. Datemi più fiducia”. E da metà stagione questa fiducia gli viene data. Le portate sono pressochè tutte sue e il suo impatto non è trascurabile. Non solo corre quasi 1000 yards da rookie, ma mostra quanto sia completo sia per le mani morbide che per la cattiveria mostrata in red zone. Viene nominato così offensive rookie of the year.

E l’anno seguente, a soli 22 anni, guadagna 1563 yards, più di ogni altro RB nella lega. È già il giocatore più veloce a superare quota 1500, ma la cosa più importante è che le sue non sono cifre funzionali unicamente alla propria ascesa, bensì è tutta la squadra che funziona, ed a Dallas arrivano le vittorie: la stagione si chiude con un record di 11-5 e la vittoria nella wild card contro i Bears, partita in cui si toglie pure la soddisfazione di essere il primo RB della storia a cui Chicago concede più di 100 yards in post season.
Per questo 1991 l’avventura finisce nel divisional contro Detroit, ma lui, unito al ricevitore Irvin ed al QB Troy Aikman compongono un trio di giocatori giovani e talentuosi, che formano anche un nucleo che eleva il livello una squadra che già di per sé poteva vantare grandi talenti come il FB Darryl Johnson, il LB Ken Norton Jr., il DE Charles Haley, il TE Jay Novacek e la safety Darren Woodson.

Il 1992 lo catapulta già nei libri dei record. É il nono giocatore della storia a vincere per due anni di fila la classifica delle yards corse, e setta il record dei Cowboys con 1713, aiutando il team a vincere la NFC East con il record di 13-3. Vengono poi battute Philadelphia prima, e dopo San Francisco nel leggendario championship dell’infangato Candlestick Park. Con questa vittoria, le gerarchie nella NFC sono evidentemente cambiate, e Dallas stacca il biglietto per il Super Bowl, che si gioca a Los Angeles. Al Rose Bowl di Pasadena. “Un giorno giocherò il Super Bowl. E lo farò proprio qui!”. Ricordate? Con la sua determinazione c‘è riuscito. Sei anni dopo realizza il suo progetto, ed a guardarlo c‘è il suo amico Nicholson in tribuna.
Questa finale si gioca contro i favoriti Bills. Buffalo è favorita perchè ha più esperienza, ed ha saggiato già questo palcoscenico per due volte, anche se in entrambi i casi subendo una sconfitta. Questa è una sfida tra l’esperienza ed il nuovo che avanza, con Jim Kelly da una parte e Troy Aikman dall’altra, con Thurman Thomas da un lato, ed Emmitt Smith dall’altro. La partita non vede Emmitt svettare su tutti semplicemente perchè in quel giorno sono tutti protagonisti. Lui diventa il primo cowboy a correre più di 100 yards in una finale (108 in 22 portate), e Dallas demolisce gli avversari 52-17, portando a casa il terzo Vince Lombardi trophy della sua storia.

Non so quanti di voi hanno mai visto le immagini di quei festeggiamenti. Io sì e ho notato un atteggiamento particolare in quei giocatori. A volte, quando degli atleti, quando una squadra raggiunge un obiettivo tanto desiderato, sprigiona una sorta di rabbia che ha dentro. La vittoria viene vissuta come una liberazione e le esultanze sono grandiose. In questo caso no. Tutti gli sguardi a Pasadena erano felici ma rilassati, nessuno che si lasciasse andare più di tanto. Secondo me questa pacatezza stava nel fatto che quei ragazzi si rendevano perfettamente conto che in quel momento non erano arrivati. Il loro obiettivo non era tanto quello di scrivere una pagina di storia del football, quanto di comporne un capitolo intero. Sapevano quanto fosse forte quella squadra, quanto era giovane, e il titolo era solo il primo passo della leggenda che stava prendendo corpo. Tutti i mass media americani avevano avuto lo stesso pensiero, tanto da parlare, dopo solo un titolo, di “nuova dinastia” e di “squadra della decade”. Non si sbaglieranno.

Emmitt chiude il 1992 diventando il primo giocatore a vincere la classifica dei RB andando contemporaneamente al Super Bowl ed al Pro Bowl. E fortuna che il ragazzo non aveva il fisico per competere a questo livello…
Ma queste prestazioni creano attriti tra lui e la dirigenza: da agosto a settembre, quindi per tutta la off-season ’93, Smith è holdout per questioni contrattuali: “Volevo i soldi che mi meritavo per le mie prestazioni. Due anni di fila al Pro Bowl, leader in yards guadagnate su corsa nella lega, ed ora una stagione da Super Bowl”. Nei primi match viene sostituito dal rookie quarta scelta Derrick Lassink, che però non convince al training camp. Alla prima giornata Smith ancora non ha il contratto che vuole, così è ancora in holdout. Ed i ‘boys perdono giocando male contro Washington 35-16. Ovviamente tutti i tifosi puntano il dito su Jerry Jones, perchè, come dice Jimmy Johnson “Io avevo preparato la squadra per giocare con Emmitt”. E la domenica successiva, sono i Bills a vincere per 13-10, e questa sconfitta è pure casalinga. Negli spogliatoi tutti sono tesi, e Charles Haley tira un pugno contro un armadietto, esclamando “Non possiamo vincere senza Emmitt”. Così Jerry Jones capisce la necessità di riportare nel roster Smith, tanto da farlo diventare il RB più pagato della lega. Non è solo una questione di riportare in squadra un giocatore che, per quanto forte, non può fare la differenza tra una squadra da titolo, ed una mediocre. È proprio una questione di confidenza, di fiducia che ogni elemento della tripletta riesce ad infondere al team. Nella storia di questi tre campioni, quando sono stati in campo tutti e tre contemporaneamente, Dallas è andata oltre al 70% di vittorie. Con uno dei tre fuori, siamo appena al 50%.
Ora il bilancio vittorie-sconfitte è 0-2, e nessuna squadra è mai riuscita ad arrivare ad un Super Bowl con questa partenza. Ma i record esistono per essere battuti..
Dallas vince 4 partite consecutive, e va a Philadelphia per prendersi la leadership nella NFC East. Nella città dell’amore, i ‘boys dominano con un attacco orientato soprattutto sul gioco di corsa, ed Emmitt guadagna 237 yards, con molte draw e con l’aiuto della fidata guardia del corpo, il FB Darryl Johnson. La partita si conclude 23-10 e i Cowboys vanno sul 5-2 che li porta sul tetto della division. La domenica successiva vengono battuti anche i Giants, ma in quella partita si infortuna Aikman, che viene sostituito da Bernie Kosar, un QB che coach Johnson conosce dai tempi del college e che è stato tagliato dai Browns. Il nuovo QB guida bene il team che nelle sue 4 partite perde solo il thanksgiving contro Miami al Texas Stadium, in una partita caratterizzata da una delle più grandi stupidaggini fatte da un giocatore su un campo da football: a pochi secondi dalla fine Miami ha il field goal della vittoria, che però viene bloccato. Palla ancora in campo, a poche yards dalla end zone dei padroni di casa. Se nessuno la tocca, partita finita. Invece Leon Lett non sente i compagni che urlano “State lontani dalla palla”, così si butta a corpo morto per coprirla, ma sulla neve scivola e la perde, riconsegnandola ai Dolphins, che ricalciano il field goal da 2 yards e questa volta segnano, vincendo la partita.
Sul 11-4 l’ultima partita è al Giants Stadium contro i rivali divisionali, e chi vince si prende la NFC East e manda l’avversario a giocare il wild card game. Su una lunga corsa, un DB di NY si getta su Emmitt lanciato verso il TD e lo prende per una spalla, riuscendolo a farlo cadere pesantemente “Sono caduto.. ed era il dolore. Era successo qualcosa. Mi faceva male la spalla in un modo che non avevo mai provato prima”. Rientra negli spogliatoi. Ha una slogatura, ma torna in campo e combatte come un leone. Ad ogni contatto si vedono oltre la maschera del casco le smorfie di sofferenza “Ogni volta che mi placcavano sentivo il dolore. Ma ogni volta che ero steso sull’erba mi ripetevo: niente dolore, niente dolore!”. A inizio anno avrà anche fatto le bizze per una questione di soldi, ma adesso Emmitt sta lottando a rischio della sua incolumità fisica pur di vincere la division, e dice ai compagni “Datemi la palla finchè non cadrò a terra senza riuscire a rialzarmi”. La partita arriva all’over time, ed è proprio una sua corsa che porta i Cowboys nel raggio di field goal, che poi viene segnato. Nella telecronaca originale il commentatore incensa così la partita del RB da Florida: “Non dimenticate mai il giorno in cui Emmitt Smith ha corso 32 volte per 170 yards e ha ricevuto 10 palloni per 60 yards con un braccio solo”. Per dare l’idea della grandezza dell’impresa, oltre alle 230 yards totali guadagnate, ha toccato 42 palloni su 70 snap. Immenso.

Per lui la stagione si conclude con le consuete cifre spaventose e il titolo di MVP. Ed è il quarto RB di sempre a vincere la relativa classifica per tre anni consecutivamente. Anche se con due partite in meno della concorrenza.
Nel divisional vengono affrontati e facilmente battuti i Packers, e per la seconda volta di fila il biglietto per poter partecipare al grande ballo è conteso dai 49ers. Ma quest’anno si gioca a Dallas, e coach Johnson ha già dichiarato ai giornalisti che garantisce la vittoria della sua squadra. La partita non è combattuta, vincono i padroni di casa 38-21, questo nonostante a fine partita Aikman subisca un duro colpo alla testa tale da fargli abbandonare il campo per un trauma cranico, che lo mette in dubbio anche per la finale.

Super Bowl ancora contro Buffalo, ed il QB dei Cowboys è presente, ma chiaramente non è in condizione di giocare ad un livelo poco più che accettabile, così è Smith a caricarsi il peso dell’attacco sulle spalle. Nel primo tempo i Bills prendono in mano la partita: sono in vantaggio 14-6 con i campioni in carica capaci solo di mettere a segno solo 2 field goal. Negli spogliatoi coach Johnson dice a tutti di stare tranquilli, ma in attacco bisogna comunque cambiare qualcosa. Allora Emmitt si rivolge al suo allenatore “OK. Dalla a me!”. E la partita svolta. Alla ripresa il RB tocca 7 palloni in 8 giochi del primo drive e segna il TD che riporta Dallas a contatto. E poi corre ancora. E poi segna ancora. Buffalo è come un pugile stordito che ciondola prima di cadere al tappeto, ma che si vede già essere spacciato. Finisce 30-13 Cowboys, e il loro RB conclude la partita con 132 yards e 2 TD, e viene nominato MVP della partita. “Noi dominavamo. È questo che facevano i Cowboys a quel tempo”.

Il 1994 vede i Cowboys ai nastri di partenza come la squadra da battere, e la regular season sembra confermare questa tendenza. Per quanto riguarda Smith, i suoi record sono ormai tantissimi, e diventerebbe infinito elencarli. L’evento di quest’anno è, ancora, il championship con i ‘49ers. Ancora a San Francisco. Questa è la più grande rivalità della lega, tra le due squadre più forti. Ma questa volta, dopo due sconfitte consecutive, è San Francisco a vincere. Dallas va sotto subito e non riesce più a rimontare, anche se ci va vicinissima. A complicare l’impresa sta anche l’infortunio che Emmitt subisce nell’ultimo quarto, e i Cowboys vengono eliminati. Questo infortunio gli fa inoltre perdere il Pro Bowl, ed è il primo che salta da quando è arrivato in NFL.

Nel ’95 Dallas esce dalla off season indebolita da importanti perdite di agenti liberi, come il ricevitore Alvin Harper ed il linebacker Ken Norton Jr. Ma la squadra è ancora competitiva, e il primo TD di Emmitt si fa attendere solo 2 giochi. Al secondo snap della stagione, nel Monday Night contro NY, prende la palla sulle sue 20 e va diretto nella end zone dei Giants. Una partenza bruciante. Ma nello stesso match si infortuna per tutta la stagione il CB Kenny Smith. Jerry Jones risponde a tono, ed ingaggia il free agent Deion Sanders. Non solo il miglior CB della lega, che l’anno prima aveva fatto penare proprio i texani giocando a San Francisco, ma anche un’ennesima star messa a roster.
Così i ‘boys sono inarrestabili, giocano alla grande ed alla week 11 affrontano San Francisco in casa. Occasione fantastica per prendersi la rivincita della sconfitta patita nella finale di conference ancora viva e ristabilire le gerarchie. Ma sono i ‘niners a travolgere gli avversari, gettando un senso di ansia sui Cowboys. Darryl Johnson ricorda che “Abbiamo semplicemente pensato: ora loro sono più forti di noi”.
Il resto della stagione prosegue tra alti e bassi, ma i problemi sono più mentali che di gioco, perchè la testa è già alle sfide di playoffs, con la sensazione di dover tornare a vincere, ma senza essere realmente la squadra da battere.
Invece nella post season ritorna a funzionare tutto, l’alchimia è ottima e a sorpresa, nel Championship incontrano non più i niners, bensì una squadra cresciuta tantissimo, i Green Bay Packers. A fine primo tempo, con la partita in bilico, i ‘boys iniziano un drive dalla loro end zone. La tripletta mette insieme un drive di 99 yards, e non c‘è nulla di più demoralizzante di un drive del genere in un momento così critico della partita. Quello è il momento in cui Smith e compagni prendono il controllo della sfida che porterà la squadra a volare verso il Super Bowl XXX, questa volta contro Pittsburgh.
La finale inizia bene con Dallas che va sul 13-0, ma non è mai totalmente sotto controllo, con gli Steelers che segnano un TD prima dell’intervallo e che si trovano per 2 volte ad avere il pallone in mano sotto di 3 punti. Ma due intercetti di Larry Brown negli stessi due drive che avrebbero potuto permettere il sorpasso a Pittsburgh, portano il quinto Vince Lombardi Throphy in Texas. Emmitt segna due TD, ma l’MVP è meritatamente Brown.

Ancora una volta grande squadra, ma questa pazza stagione che ha portato il titolo fa capire che è iniziata la parabola discendente. È stato un anno strano, Troy e Michael iniziano ad accusare acciacchi sempre maggiori, e anche Smith, nonostante stoicamente giochi sempre, inizia ad avere qualche problema fisico, anche se la sua carriera durerà altri 10 anni, con una breve e conclusiva parentesi in Arizona con i Cardinals.

Record ed anni difficili

Non voglio parlare del suo crepuscolo, di anni di difficoltà per i Cowboys, non più squadra di vertice, che perdevano pezzi tra problemi legali, infortuni e free agency. La tripletta aveva segnato una decade, ma sia Troy che Irvin avevano dato il meglio negli anni dei titoli.
Ma nel 2002 contro Seattle al Texas Stadium, Emmitt segna un record che non si può tralasciare: diventa l’all time rushing leader. Nel discorso che fa a fine partita, davanti a tutti i tifosi, dice: “Questo è qualcosa che voi meritate come me lo merito io, e sono grato di aver avuto la possibilità di farlo qua al Texas Stadium, con Dio che guardava quaggiù tutti noi”.

In una partita contro i Bears, Emmitt si infortuna gravemente e viene portato in ospedale. Qua va a trovarlo Walter Payton in persona, Smith ricorda quel momento con le lacrime agli occhi “Mi disse: non avere paura, guarirai. Ma per ogni cosa, io sono qua per te. Ricorderò sempre quei momenti. Lui era là. E vorrei che fosse ancora qua”. La prima partita dopo la morte della leggenda dei Bears è contro i Vikings a Minneapolis “Volevo giocare una grande partita per dedicargliela. E volevo farlo perchè sapevo che mi stava guardando. Volevo battere il record di yards in una singola partita”. Emmitt chiuderà quel match segnando 140 yards in un tempo, prima di lasciare il campo con una mano rotta.
Nel 2005, dopo aver stabilito ogni tipo di record, firma un contratto di un giorno con Dallas, per potersi ritirare: “C‘è solo un modo per me di concludere, ed è da Dallas Cowboy. E voglio ringraziare Jerry Jones, che mi ha dato l’opportunità di avere una vita migliore di quello che avrei mai potuto immaginare. Voi sapete quanto la stella conti per me. E voglio ringraziare ogni giocatore con il quale ho giocato insieme ed anche contro, perchè mi hanno fatto crescere, migliorare, diventare competitivo. E anche le leggende, che hanno dato ad un giocatore come ero io un obiettivo per quello che sarebbe dovuto accadere. Ora lo sono diventato io per giocatori come Curtis Martin, che sarà un riferimento poi per i bambini che giocano con gli amici adesso. È questo il modo di portare avanti il gioco per miglia e miglia.”

In un articolo sulla vita di Emmitt scritto da Peter King su Sport Illustrated, il giornalista dipinge così il giocatore Smith: “La cosa che lo fa progredire di più è il desiderio di essere un giocatore tremendo, e questo è stupendo. Vuole sempre lasciare un segno sul gioco che solo pochissimi giocatori potranno eguagliare in futuro”.
Emmitt non aveva una velocità eccezionale, e nemmeno una potenza di corsa straordinaria, ma aveva un istinto per il gioco innato, una capacità ineguagliata di capire ed adattarsi ad ogni cambiamento delle difese ed il talento per essere uno dei RB più completi di sempre. Il football era nel suo sangue, ha sempre voluto fare il giocatore, e fin da bambino ha dominato il livello in cui si è trovato a giocare. Che fosse high school, college o tra i professionisti. “Sapevo di non essere il ragazzo più veloce, come sapevo anche di non essere il più forte, ma non me ne sono mai preoccupato. Sapevo che avrei potuto fare bene questo lavoro”.
Norv Turner, all’epoca OC dei ‘boys, ne descrive il tipo di giocatore come “Emmitt raramente faceva quelle giocate che ti facevano dire wow. Ma era completo. Le sue grandi partite erano quelle in cui logorava gli avversari, down dopo down, gioco dopo gioco. Ed è questo che fanno i grandi running back: dominano le partite. E nessuno le dominava come Emmitt”.

Per ogni giocatore chiudo la piccola biografia mettendo la frase che secondo me più di ogni altra li caratterizza. Per comprendere come questo ragazzo abbia potuto essere così grande, anche a discapito delle oggettive limitazioni fisiche che lo caratterizzavano, ritengo che basti riportare il suo modo di approcciarsi alle partite. Lui non vedeva davanti a sè solamente gli avversari, ma anche i fantasmi del passato, quei campioni a cui voleva andare a far compagnia un giorno:
_“Penso sempre di inseguire, di affrontare le leggende, come Walter Payton, Tony Dorsett, Jim Brown ed Eric Dickerson, gli uomini che hanno fatto la storia. Quando la mia carriera sarà finita, voglio che i giovani, i futuri runningbacks, dicano: ragazzi, dobbiamo inseguire le leggende più grandi. E che nel dirlo, intendano Emmitt Smith.
Penso anche a come potrà essere il futuro. Con tutti gli infortuni che ho patito e patisco, probabilmente avrò problemi di artrite. E so che dovrò convivere con il dolore. Ma so che questa è una parte del tutto, e io voglio dare tutto quello che ho nel football, come nella vita. Continuo a credere che potrò essere uno di quei giocatori che hanno avuto tutto dal gioco, e se rimarrò sano, so che potrò portare a termine il mio progetto. Il mio talento è arrivato da Dio. Io c’ho aggiunto questo mio desiderio. Ed è un grande desiderio”_.

Si conclude così il racconto della tripletta, di tre dei più grandi giocatori di sempre che non solo erano contemporanei, ma addirittura giocavano nella stessa squadra, rendendola grandissima ed illuminandosi a vicenda. Aikman, Irvin e Smith sono stati il trio che ha guidato una Dallas piena di grandi giocatori e diventare un punto di riferimento e la pietra di paragone per tutte le future dinastie che si creeranno in questo sport. E ci sono riusciti perchè erano compagni, erano diventati amici, quasi fratelli, senza alcuna gelosia reciproca, solo con la voglia di arrivare lassù in cima e non tornare più giù. Alla fine ci sono riusciti, ed il raccontarne la grandiosità delle gesta, riesce ancora ad emozionarmi.

Legends | by Alvin Gabbana | 13/09/08

blog comments powered by Disqus