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Steve Young

Steve e la scimmia

Non fatevi fuorviare dal titolo, non si tratta di una storia per bambini (anche se confesso che ai miei figli l’ho raccontata): la scimmia in questione non è di carne, ossa e pelo, ma ha comunque accompagnato il protagonista (Steve) per gran parte della sua carriera sportiva.

Il nostro eroe, all’anagrafe Jon Steven Young, noto al mondo come Steve, nasce a Salt Lake City, Utah, l’11 ottobre 1961. E’ il pro-pro-pro nipote di quel Brigham Young che guidò la migrazione dei mormoni nello Utah. Dal suo avo ha certamente ereditato molto in termini di leadership, come vedremo in seguito.

Frequenta la Greenwich High School nel Connecticut, dove è una star della squadra di football, di basket e di baseball. Al college, non poteva che accasarsi alla Brigham Young University. Inizialmente, il buon Steve, ha dei problemi sui passaggi, quindi l’allenatore ha una mezza idea di spostarlo nella posizione di defensive back per sfruttare il suo atletismo. Per fortuna del mondo del football il cambio di posizione non avviene, grazie al duro lavoro di Steve per migliorare le sue capacità nel ruolo di quarterback. Diventa lo starter dei Cougars dopo Jim McMahon e conclude con una stagione da senior spettacolare: 3902 yard e 33 TD con il 71.3% dei completi (record NCAA sulla singola stagione). Arriva secondo nella corsa all’ Heisman Trophy , viene nominato First Team All-American e corona la stagione firmando il TD decisivo nella vittoria 21-17 di BYU contro Missouri nell’Holiday Bowl.

Nonostante la seria possibilità di essere la prima scelta assoluta del draft NFL 1984, Steve Young decide di giocare nella USFL con i Los Angeles Express, che gli permettono da subito di giocare titolare, cosa che non sarebbe successa nella National Football League. Dopo essere stato il primo giocatore nella storia del football professionistico a mettere a referto più di 100 yards su corsa e più di 300 yards di passaggio nella stessa gara, la fine della USFL nel 1985 porta il mancino di Salt Lake City ad essere la prima scelta del supplemental draft NFL nella stagione successiva e ad approdare ai giovanissimi e derelitti Tampa Bay Buccaneers.

Le due stagioni sotto il coach Leeman Bennett si concludono con un record di 2-14 (il peggiore della lega). Steve chiude con un fatturato di 3 vinte e 16 perse da starter e viene bollato come un “bust”. Da qui lo scambio che lo porta alla corte di Bill Walsh nella stagione 1987; contropartita: una seconda e una quarta scelta, usate poi per il linebacker Winston Moss ed il wide receiver Bruce Hill (chi avra’ fatto l’affare secondo voi?).

Walsh lo vuole ai San Francisco Fortyniners perchè sa che il fisico “da ragioniere” del Joe “Cool” Montana non potrà resistere ancora a lungo ai duri colpi dei defensive end avversari: il momento di Steve arriverà presto e nel frattempo nessun avversario potrà avvalersi del suo talento.

Steve inizia la stagione da backup dietro la leggenda vivente Joe Montana, ma già nel ruolo di riserva brilla da subito: la sua prima stagione si conclude con l’apparizione in 8 partite, con un rating di 120.

Ancora da riserva nella stagione successiva, firma una delle più memorabili ed eccitanti azioni di scramble della storia del football: sotto 21-17 in casa contro i Vikings a meno di due minuti dal termine, i 49ers giocano un terzo e due dalle 49 degli avversari; Young indietreggia per il lancio, si accorge che sta per essere placcato e decide di mettere in moto le sue gambe, schiva gli avversari, avanza ed entra in end zone per il TD della vittoria! Questo il commento del telecronista dal vivo:

“Young back to throw, in trouble and he’s going to be sacked … no, gets away … he runs, gets away again … goes to the 40, gets away again … to the 35, cuts back at the 30 … to the 20, the 15, the 10 … Young is exhausted, he dives, touchdown 49ers!”

Nei playoff del 1990 la svolta nella carriera di Young e la comparsa del secondo protagonista di questa vicenda: la scimmia (non ve la siete dimenticata, vero?).

Montana, placcato duro da Leonard Marshall nel Championship della NFC, deve lasciare il campo per un infortunio alla spalla che lo terrà fuori per tutta la stagione 1991 e per buona parte di quella del 1992. A questo punto è chiaro che il futuro della squadra di San Francisco e’ il QB mancino da Brigham Young, ma da quel momento una scimmia si piazza sulla sua spalla e lo accompagnerà per qualche anno.

“Bravo il ragazzo, ma Joe era un’altra cosa”
“Lancia benino, è sicuramente piu’ mobile di Joe, ma nei momenti che contano, nei giochi che decidono le partite… Montana era nettamente superiore”.

Quante frasi di questo tipo sono state dette e scritte riferendosi a Young! Era inevitabile: come succede sempre quando un grandissimo viene sostituito, il nuovo arrivato deve confrontarsi con l’aura e l’immenso talento (a volte ingigantito dal ricordo) del predecessore.

Inutile far notare che Young è un quarterback preciso, capace di interpretare il momento della partita e di muoversi fuori dalla tasca per improvvisare un lancio o seminare il panico nella difesa avversaria con i suoi scramble. Che lui non è solo un lanciatore “da tasca” ma ha un’altra dimensione nel suo gioco. Che ha un tipo di gioco più eccitante, più umano, più “istintivo” della “macchina” Montana. Non è Joe e questo basta a molti per accanirsi su di lui.

Il 1991 sembra dar ragione ai detrattori di Young: record di 10-6 e niente playoff. Nel 1992 le cose sembrano andare molto meglio: 14-2 alla fine, 107 di rating con solo 7 intercetti, MVP della stagione; nel Championship al Candlestick Park prevalgono pero’ i Cowboys che vinceranno poi il titolo. Dimenticando l’ottima stagione, i dubbi sul nostro eroe aumentano, il confronto con Montana peggiora e la scimmia sulla sua spalla pesa sempre di più.

1993: il copione si ripete o quasi. Record di 10-6 con vittoria della division, ma ancora una sconfitta da parte degli eterni rivali texani al Championship per 38-21. La scimmia ormai se la ride alla grande e si sente sicura al suo comodo posto accanto all’orecchio di Steve.

Finalmente arriviamo al 1994, una stagione da incorniciare per i 49ers e per Steve Young. La partenza non è delle migliori: alla quinta partita siamo 3-2 dopo una delle più pesanti sconfitte rimediate a Frisco dai Red&Gold (40 a 8 in casa dagli Eagles). La colpa è tutta di Young che, tolto dalla partita per non rischiare infortuni, esce e si piazza di fianco al suo head coach Seifert, coprendolo di insulti tanto che la madre dichiara di voler prendere una aereo fino alla costa ovest per lavargli la bocca con il sapone.
A questo punto c’è la svolta decisiva: Young si sente responsabile della pessima prestazione della squadra e trova le motivazioni per inanellare 10 vittorie consecutive. La stagione si conclude 13-3 dopo la sconfitta nell’ininfluente ultima partita di regular season. Young guadagna il suo secondo titolo di MVP della lega con le strabilianti statistiche di 35 TD contro 10 INT, 70.3% di completi per 3969 yard condite da 7 TD su corsa.

Ai playoffs il momento della verità arriva ancora una volta al Championship: di fronte per la terza volta gli “odiatissimi” Dallas Cowboys di Aikman e compagni. Il detto ‘Non c’è due senza tre’ questa volta non funziona: al Super Bowl XXIX ci vanno i 49ers e Young inizia a scrollarsi di dosso i dubbi di chi non lo ritiene un vincente.

A Miami, a cercare di rovinare la festa a Young, ci sono i San Diego Chargers, una squadra sorpresa senza grossi nomi; giocare contro “nessuno” non può che mettere maggiore pressione sul nostro eroe, ma la risposta è da vero campione assoluto di questo sport. Young viene nominato MVP del Super Bowl XXIX dopo la prestazione piu’ impressionante di sempre in una finale di campionato: 24 su 36 per 325 yard e 6 TD pass (battendo il record di TD in un Super Bowl che apparteneva proprio al suo predecessore alla guida dei Red&Gold). A partita ormai vinta Seifert fa uscire Young dal campo e la sua gioia esplode incontenibile: si avvicina alla panchina e urla

“Levatemi questa grossa scimmia dalla spalla”

Uno dei leader difensivi, il LB Gary Plummer, si avvicina al suo capitano ed elimina il protagonista scomodo di questa storia: la scimmia se ne va insieme all’ingombrante ombra di Joe Montana. I critici che sostenevano che non valesse nemmeno la metà del suo predecessore sono finalmente tutti zittiti.

Nello spogliatoio dopo la partita Young abbraccia il meritatissimo e tanto sognato Vince Lombradi Trophy, raggiante e molto più leggero senza il gorilla che lo opprimeva. Queste le sue parole urlate ai giornalisti:

“Nessuno (pausa) potrà mai (pausa) mai (pausa) MAI!(pausa) portarcelo via!”

Così come nessuno gli porterà via il posto tra i più grandi quarterback della storia di questo sport.

Steve Young abbraccia l'agognato Vince Lombardi Trophy

Le stagioni successive sono buone, anche se non si raggiungeranno mai i livelli e i trionfi del 1994, complice anche la difficoltà a tenere in squadra i talenti in era di salary cap. Sempre ai playoffs nel 95, 96, 97 e 98, Young viene battuto per 3 anni consecutivi dai Green Bay Packers di Brett Favre e poi dalla sorpresa Atlanta Falcons. Nel 1999 alla quarta commozione cerebrale in tre anni (ufficialmente ha avuto sette commozioni cerebrali in carriera ma molti pensano che il numero reale sia molto più alto) si fa da parte e a fine stagione si ritira definitivamente.

Alcuni numeri che hanno caratterizzato la carriera di Steve Young:

• 43 touchdown di corsa (record per un QB)
• 4 stagioni consecutive con rating maggiore di 100 (unico QB nella storia della NFL)
• 4 stagioni consecutive come leader della NFL nel rating tra i QB (record NFL)
• 96.8 di rating in tutta la carriera (il piu’ alto di tutti i QB della storia NFL al momento del ritiro)
• 64.3% di completi in carriera
• 6 stagioni in testa alla classifica dei migliori lanciatori della lega
• 6 partite consecutive con piu’ di 300 yard di passaggio (1998)

Come ogni grandissimo di questo sport, il 5 febbraio 2005 è stato eletto nella Pro Football Hall of Fame. La cerimonia ufficiale per il suo ingresso nell’elite del football si è tenuta il 7 agosto 2005, con un discorso di presentazione tenuto dal padre Girt.

Un’ultima cosa. Mai nessuna squadra ha prodotto due QB da Hall of Fame consecutivamente: Young ha portato San Francisco a compiere questa impresa.

Legends | by Ciro de Mauro | 23/02/07

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