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Le dinastie del football: college NCAA

Come accennato in altre circostanze, parlare di football professionistico spesso può portare a frequenti divagazioni nelle terre del gioco collegiale, per molti versi il vero campionato americano (quello NCAA almeno), un torneo ricco di storia e tradizione, di rivalità e di città che si sfidano senza ottenere certo la ribalta nazionale ma difendendo “soltanto” i colori del proprio college. E parlando di dinastie è impossibile sottovalutare la storia di quella parte di gioco che al gioco stesso ha dato i natali, quella collegiale appunto.

Come detto parlando delle dinastie professionistiche, il valore di un dominio collegiale non passa necessariamente dall’elezione del titolo di campione nazionale, nemmeno oggi che, grazie alle Bowl Championship Series (BCS) si è riusciti ad organizzare una finale per il titolo vera e propria. Nel college si privilegia da sempre il voto degli esperti in un numero e una misura che non staremo a descrivere oggi, e la storia dei bowls, le partite di inizio anno (ma da parecchi anni se ne trovano già a dicembre) che fungono da straordinario riconoscimento per le squadre che vi partecipano e, ovviamente, vincono. Le dinastie del football si estendono in anni di dominio vero e proprio, dove le squadre riescono con frequenza incredibile a chiudere imbattute un campionato dopo l’altro o, comunque, con un numero risibile di sconfitte. Sono squadre che, pur cambiando ogni tre anni circa per la fine degli studi dei loro atleti, si spingono in progetti a lungo termine, guidati da grandissimi coach, innovatori e fini strateghi che, grazie agli scout e allo staff, non subiscono mai il cambio generazionale e continuano a dominare il proprio campionato, la propria conference, forse persino a vincere un Rose Bowl dopo l’altro o, infine, il titolo di campione nazionale.

Se negli sport professionistici americani è piuttosto facile intuire quali siano state le dinastie, nel campionato di college maggiore il concetto non è assolutamente identico; nel mondo dei ricchi guadagni basta contare il numero di titoli vinti in un arco di anni relativamente ristretto, spesso senza badare troppo ai record stagionali o ai numeri alzati tra attacco e difesa, tra yards conquistate e perse, tra punti segnati e subiti. Nel college invece, dove un programma scolastico investe di più nello sport per dominarlo, il titolo nazionale, o l’opportunità di giocarsela in finale, è sempre conseguenza di una stagione che rispetta altissime aspettative o che sovverte in modo deciso un pronostico contrario. L’assenza di un tipico tabellone di playoffs genera da sempre diatribe su chi meritasse realmente di più il posto in cima alla classifica finale, ma ci obbliga anche a ragionare diversamente su come una scuola possa o meno costruire il proprio dominio nel mondo della palla lunga un piede.

Chi vota le squadre migliori lo fa in virtù di concetti come i risultati sul campo, il valore degli avversari battuti, l’imbattibilità stagionale e il valore della conference in cui si è inseriti quando non si è un college indipendente (come Notre Dame).
Questi punti portano al titolo, certo, ma non danno il vero valore di longevità. Si può infatti trovare una squadra che in un decennio abbia un titolo nazionale in più vinto rispetto ad un’altra la quale però si è trovata al vertice della lega per più stagioni consecutive alzando record tra vittorie e sconfitte molto più elevati di altri. Per questo, come vedremo alla fine di questo pezzo, molti esperti ricordano i record di Pittsburgh University negli anni Dieci del secolo scorso e raramente menzionano Harvard che pure vinse tre titoli (contro due). Il dominio di quei Panthers fu maggiore, votato a una squadra solida capace di perdere solo 5 volte in otto stagioni, mentre Harvard altalenò le tre stagioni in cui riuscì a vincere a campionati “normali” e in un mondo dove il concetto di “X vittorie in Y anni” non viene tenuto in considerazione, la meritocrazia premia Pittsburgh senza nulla togliere al valore della Harvard di quegli anni.

Partendo da questi presupposti è facile incontrare quindi nell’università di Pittsburgh la prima scuola davvero dominante nel college football (1913-20). In otto stagioni i Panthers colsero 55 vittorie a fronte di 5 sconfitte e 4 pareggi, per una percentuale di gare vinte pari a .891 e divennero la prima scuola ad imporsi in football che andava davvero a modernizzarsi ma, soprattutto, furono la prima vera alternativa al dominio delle ricche scuole della Ivy League le quali, dopo aver dato vita al football, lo avevano dominato dalla seconda metà dell’ottocento in avanti.
Nello stesso periodo si impose, per la prima volta nella sua ricca storia, Southern California (1913-33, 129-18-3, .870), anche se fu Notre Dame University la stella più brillante del primo firmamento collegiale se si esclude, appunto, la Yale che regnò in anni in cui il gioco era ancor più grezzo e primitivo e dove i Bulldogs divennero certamente il miglior programma del XIX° secolo (mai una stagione perdente tra il 1872 e il 1899 con un’incredibile record nel 1888 di 13-0 senza mai subire un solo punto sul campo per un totale di 698 punti segnati e zero subiti).

Gli Irish del mitico Knute Rockne (1918-30) però innovarono il gioco oltre a dominarlo e lanciarono veri e propri campioni che scrissero la storia del gioco. Durante l’era di Rockne, Notre Dame vinse 105 partite, perdendone solo 12 (più 4 pareggi) e realizzando un record pari a .881 (la più alta percentuale per un coach NCAA di prima divisione). Allenando gente come George Gipp, i Four Horsemen e i Seven Mules (il mitico backfield e la linea che bloccava per esso) e Bert Metzeger, infilò un record di 22 vittorie consecutive dal 1918 ripetendosi in altre strisce di imbattibilità per tre volte vincendo almeno 15 gare.

Notre Dame si sarebbe poi ripresentata come squadra regina del college football nel 1946, anni in cui Frank Leahy, già giocatore dell’ateneo sotto gli ordini di Rockne, prese la guida della squadra portandola a 87 vittorie su 107 gare in otto stagioni, trovando dopo la Seconda Guerra Mondiale uno dei migliori team di sempre. Con John Lujak come quarterback e Terry Brennan a dividere le corse con Emil Sitko, furono gli unici a tenere testa alla grande Army di allora (di cui parleremo tra poco) pareggiando 0-0 grazie al dominio di un’ottima difesa. Leahy vinse tre titoli nazionali (1946-47-49) e produsse tre Heisman Trophy (tra cui proprio Lujak) e decine di All-America.

Sarebbe stata Minnesota tra il 1933 e il 1941 l’università in grado di emulare tali imprese; i Golden Gophers del periodo antecedente alla Seconda Guerra Mondiale vinsero la concorrenza di Tennessee (88% di vittorie) e Michigan (83.1%), altre due università che, a cavallo del conflitto bellico, s’imposero su tutti i campi d’America. La squadra allenata da Bernie Bierman vinse però ben sei titoli di Big Ten e quattro nazionali (1934-36-40-41) rimanendo imbattuta in sei stagioni su nove. Con un gioco basato principalmente su una incredibile difesa, Bierman costruì una squadra capace di un record pari a 58-9-5 lasciando a zero punti sul tabellone gli avversari in ben 25 occasioni su 72 partite. Nel 1941 la squadra si fregiò anche di un Heisman Trophy (il RB Bruce Smith), ma nonostante tutti questi successi i Gophers non ricevettero mai un invito ad un bowl.

Sul finire della guerra, mentre scemavano anche le incredibili strisce sopraccitate di Tennessee e Michigan, s’impose finalmente la scuola dei Cadetti di West Point. A differenza di oggi, Army e Navy proposero, fino agli anni ’60 del Novecento, ottime squadre, quando non eccellenti come capitò ai Black Knights tra il 1943 e il 1950. Army era allenata dal 1941 da Earl Blaik il quale due anni dopo riuscì a impostare la squadra giusta per cominciare a vincere; nel 1944 grazie a un punteggio totale di 504 a 35 (tra cui un pesantissimo 59-0 rifilato a Notre Dame), i Cadets vinsero il titolo nazionale da imbattuti, per poi ripetersi l’anno dopo con un 9-0 finale (412 punti segnati e un altro “cappotto” a Notre Dame – 48-0 – ) e un nuovo titolo. Solo lo 0-0 dell’ultima di campionato del 1946 (di nuovo Notre Dame l’avversaria) impedì ai cadetti di fare tris. Conscia del proprio fascino ottenuto in un certo senso anche grazie alla guerra combattuta tra Europa e Pacifico, l’accademia militare attrasse a sé parecchi talenti in quegli anni e si munì di uno dei backfield più forti di sempre quando schierò, in quei tre anni di imbattibilità, il fullback Don Blanchard e l’halfback Glen Davis, conosciuti anche come Mr. Inside e Mr. Outside ed entrambi vincitori dell’ Heisman Trophy nel 1945 e nel 1946.
Il controllo di Blaik dalle parti di West Point non terminò nel 1950 anche se, come per la più tremenda delle vendette, la dinastia di Army finì proprio in quella stagione grazie alla sconfitta subita dagli odiatissimi Midshipmen di Navy (14-2); in quelle otto stagioni Blaik portò comunque i cadetti a un record di 64-5-5 (89.9%) e due titoli nazionali.

Mentre la grande corazzata di Blaik andava spegnendosi, cominciava in Oklahoma quello che sarebbe stato il decennio di Bud Wilkinson e dei suoi Sooners. Tra il 1948 e il 1958, grazie a un attacco basato sull’innovativa Split T formation agevolata sempre da giocatori rapidi e veloci. Tra il ’53 e il ’57 gli Oklahoma Sooners vinsero 47 gare consecutive, record mai nemmeno avvicinato da nessun altro. In undici stagioni Wilkinson disegnò quello che per molti è stato il più grande dominio nella storia del football ad ogni livello, generando un record di vittorie pari a .923 (nel dettaglio: 107 partite vinte, 8 sconfitte e 2 pareggi) al quale si aggiungono tre titoli nazionali (1950-55-56) e otto inviti ad un bowl di cui ben sei vinti. Oklahoma sarebbe tornata a questi livelli solo un ventennio più avanti, dimostrandosi come sempre una scuola all’interno della quale pare si respiri football in ogni angolo.

La vera leggenda immortale del college football è però stata probabilmente scritta da un personaggio al quale non si può non accostare buona parte della storia di questo sport. Paul Bryant, meglio conosciuto come Bear Bryant, ha dipinto gli anni del college football tra il 1959 e il 1980, spingendo questo sport ad evolversi sempre di più, carpendone i segreti più profondi per rilanciarli in modo innovativo e vincente ogni volta. Coach Bryant lega la propria storia ad Alabama, università che sotto la sua guida è stata costantemente ai vertici della NCAA tra il ’59 e l’80 con una breve pausa tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del secolo scorso. A Bear Bryant vengono quindi in un certo senso assegnate due dinastie con una stessa squadra e a lui va il merito di aver oscurato grazie ai suoi Crimson Tide le imprese di altri college che in quei vent’anni di football ottennero comunque ottimi risultati. Pensiamo a Michigan State (117-7-4 tra il 1950 e il 1966, sei titoli nazionali), Ohio State (56-14-4, 1954-61, un titolo nazionale nel ‘54), Texas (107-21-2, 1961-72, tre titoli nazionali) e Nebraska (79-14-4, e due titoli consecutivi tra il ‘69 e il ’76).

Alabama riuscì ad andare oltre. Nella prima parte di regno di Bryant, l’università vinse sei bowl su otto (solo nel 1962 non venne invitata), tre titoli nazionali (1961-64-65), vinse nell’86,9% delle partite e mantenne inviolata Tuscaloosa tra il 1963 e il 1967. Joe Namath (62-64) e Ken Stabler (65-67) passarono da quella scuola per finire allenati dall’Orso e contribuire ai tanti successi. Arrivarono poi tre anni di stanca, dove la squadra riuscì a malapena a stare sopra al 50% di vittorie; nel 1971, però, i Crimson Tide ripresero a mietere vittime vincendo dopo cinque anni il titolo nella SEC grazie a un record di 11-1 che valse anche un biglietto per l’Orange Bowl. Nella seconda metà di questo dominio Alabama compilò un record perfino migliore del precedente (89.2%) vincendo altri tre titoli nazionali nel 1973, 1978 e 1979 riuscendo a rimanere imbattuta per 28 gare di fila negli ultimi due anni di questa striscia vincente. Bryant chiuderà la carriera di allenatore nel 1982 come coach più vincente della Division I Bowl (una volta I-A) con 323 vittorie, 232 delle quali ottenute sulla sideline dei Crimson Tide. Il coach morì un mese dopo la vittoria al Liberty Bowl del 1982 (21-15 su Illinois) mantenendo fede a una sua vecchia promessa: quella di smettere di allenare solo dopo la morte.

Gli anni di Alabama non impedirono comunque ad altri due coach di vivere importanti pagine di sport nella NCAA. Come sarà facile intuire la suddivisione tra conference, università indipendenti, bowl e quant’altro, non impedisce che, nello stesso periodo, più squadre riescano ad imporsi in un domino prolungato che, successivamente, viene definito come dinastia. Oltre alle università già citate in precedenza che riuscirono a distinguersi senza però mai oscurare le imprese dei ragazzi di coach Bear Bryant, ve ne furono un paio che misero seriamente in pericolo il successo di quei Crimson Tide, tanto da accaparrarsi il tanto agognato titolo nobiliare di dinastie. Se è vero che, con la suddivisone dei “polls” (in inglese “sondaggio”, in questo caso lo strumento che determinava il campione nazionale attraverso i voti degli esperti), è capitato di avere addirittura due diverse scuole campioni nazionali, è altrettanto vero che, all’interno di un decennio, si possano avere più dinastie contemporaneamente.

Riesce difficile infatti, al di là dei meriti di Alabama, escludere da questa lista i Trojans di Southern Cal che tra il 1967 e il 1979 schierò una serie di running backs uno più forte dell’altro (tra cui gli Heisman" O.J. Simpson”:http://www.playitusa.com/nflhistory/Legends/oj-simpson e Charles White) che contribuirono a spingere la squadra di coach John McKay a vincere 122 partite (82.6%) e tre titoli nazionali (1967, 1972 e 1974), che divennero quattro sotto la guida di John Robinson nel 1978. I Trojans chiusero imbattuti ben tre stagioni in quel periodo, ed in altre cinque persero solo una partita, arrivando a rappresentare la PAC-10 al Rose Bowl per otto volte e conquistandolo in sei occasioni.

Al fianco di USC e Alabama, come anticipato poche righe più in alto, il ritorno dei Sooners di Oklahoma. Barry Switzer diventò assistente coach della squadra dopo l’addio di “Bud” Wilkinson nel 1966, sotto la guida di Chuck Fairbanks e, dal 1971, i due riusciranno a ridare lustro alla scuola e al suo programma di football. Con la Wishbone offense, basata su una triple-option, Switzer e Fairbanks spinsero i Sooners al più alto numero di punti mai segnati in un campionato dalla scuola (534 nel 1973), e soprattutto riuscirono a vincere 102 partite tra il 1971 e il 1980, contro solo 14 sconfitte e 2 pareggi (.873). Grazie a questi risultati Oklahoma vinse due titoli nazionali (1974 e 1975), dieci Big Eight Conference (oggi Big Twelve) consecutive ed infilarono una striscia di 28 vittorie in fila e 35 di imbattibilità (un solo pareggio) tra il 1972 e il 1975.

L’ingresso negli anni Ottanta, la nascita nel decennio precedente delle Division II e III, la suddivisone della Division I, una elite sempre più “ristretta” di college davvero impegnati nel football, porteranno sempre meno squadre dominanti in un mondo sempre più competitivo e difficile da gestire. La nascita del BCS renderà ancora più difficili certe imprese in un certo senso, anche se le strisce vincenti e i calendari dominati non accenneranno comunque a scemare.

L’università di Miami, Florida, sembra così l’unica davvero in grado di dominare negli anni Ottanta. Sotto tre diversi allenatori tra il 1983 e il 1992, il programma di Miami vince per ben quattro volte il titolo di campione nazionale (1983, 1987, 1989 e 1991) vincendo 107 gare (su 121) e conquistando uno dei bowl maggiori in ognuna delle dieci stagioni: 5 Orange Bowl, 3 Fiesta Bowl e 2 Sugar Bowl. Gli italo-americani, nonché vincitori di un Heisman Trophy, Vinny Testaverde e Gino Torretta vestiranno i colori degli Hurricanes durante quel decennio.
Un decennio all’interno del quale solo la Penn State dell’immortale Joe Paterno riuscì a mettersi in risalto, vincendo quasi l’ottanta percento delle partite ma molti meno titoli nazionali della scuola della Florida.

Così come la University of Florida (82% di vittorie tra il 1990 e il 1999) faticherà ad esprimersi come miglior college della nazione nel momento stesso in cui gli arcirivali di Florida State vinceranno due titoli (contro uno) partecipando negli anni Novanta ad altri tre bowl validi per il titolo in piena epoca BCS. Sempre a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta sarà la University of Nebraska allenata da Tom Osborne a costruire alcuni dei successi più incredibili di sempre con quattro titoli nazionali (uno condiviso con Michigan) riprendendo il discorso interrotto nel 1971 ma che, come denominatore comune, mantenne il fatto che i Cornhuskers riuscirono nell’impresa di vincere almeno nove partite a stagione dal 1969 al 2001.

Sono invece stati i Trojans di USC a creare di nuovo un ottimo periodo di vittorie nel nuovo millennio grazie alla guida di coach Pete Carroll e al passaggio di giocatori quali Matt Leinart, LenDale White e l’ Heisman Trophy Reggie Bush. E’ ancora difficile poter dire se questa squadra sia da definirsi un dinastia, ma due titoli nazionali (uno condiviso con Louisiana State) più un altro perso al Rose Bowl contro Texas e due stagioni da imbattuti sono un ottimo biglietto da visita.

Quelle sopraccitate potrebbero essere le università davvero capaci di meritare, nei decenni e nei decenni, i titoli di grandi dominatrici del football collegiale in America, anche se, per ovvi motivi, lo spazio è tiranno e difficilmente ci sentiamo di aver dato il giusto risalto a tutti quegli atenei in grado di scrivere storie spesso anche più importanti di quelle della NFL. Tra queste varrebbe la pena menzionare i Broncos di Boise State, Idaho, piccola università celebre per il campo dal manto erboso di colore blu che per anni ha militato nella Div. I-AA. Boise State non fa parte di quei programmi davvero in grado di avvicinarsi alle lotte per il titolo, ma è riuscita a dare al proprio pubblico sempre un gruppo di giocatori capaci, anno dopo anno, stagione dopo stagione, di tenere accesa la fiamma della passione nel tifo di casa rendendolo fiero e orgoglioso dei loro colori. I Broncos hanno vinto 8 volte la WAC nelle ultime nove edizioni, rimanendo senza sconfitte all’interno della stessa dal 2002 al 2004 e diventando l’unica squadra imbattuta nel 2006 quando riuscì a vincere, in overtime, il Fiesta Bowl contro Oklahoma dopo uno dei più belli ed emozionanti bowl di sempre, chiuso grazie allo “Statue of Liberty”, un trick play giocato per la trasformazione da due punti che ha dato la vittoria di Broncos.

Le Division minori

Come molti sanno il football è l’unico sport della NCAA ad essere suddiviso in più campionati che si differenziano per gli investimenti dei programmi e le borse di studio, assegnate o meno, agli studenti-atleti. La Division I Bowl (ex DI-A) è la massima serie, quella di cui abbiamo parlato e che ci consegna i campioni nazionali ogni anno oltre a vivere sull’entusiasmo dei bowl games. Le altre (Division I Championship – già I-AA -, DII e DIII) sono a loro volta divise in conference, hanno il loro campionato regolare che termina però nella più classica forma dei playoffs, i quali conducono fino alla finale per il titolo. Ecco allora che, anche qui, si sono create alcune dinastie che hanno dettato i tempi del college football “minore”.
Un’altra lega universitaria, la NAIA (National Association of Intercollegiate Athletics), conduce i propri campionati sportivi e, nel football, è attiva dal 1956, conducendo così a sua volta una propria storia ed una propria tradizione che nel tempo hanno trovato stabilità. Ci è sembrato inutile però effettuare ricerche su questa lega per quel che riguarda le dinastie, in quanto si tratterebbe di parlare di college, giocatori e allenatori che non sono troppo noti nemmeno in patria e che hanno una visibilità davvero ridotta.
Lo stesso discorso potrebbe valere per le divisioni inferiori della NCAA che però sono molto più seguite di quanto non possa sembrare, hanno una minima copertura televisiva e alcuni di suoi personaggi hanno scritto importantissime pagine di sport e sono riusciti a passare alla storia. Inoltre, il fatto che siano legati direttamente alla NCAA, ci è sembrato un buon motivo per spendere due righe in merito.

Division I Championship Subdivision

Nata nel 1978 (quindi saranno esclusi dalla “lista” i dominatori del college football della Ivy League dei primi anni di gioco quali Yale, Princeton e Harvard) ha trovato in Georgia Southern la migliore dinastia della propria storia (4 titoli tra il 1985 e il 1990). Gli Eagles sono la squadra più vincente della divisione con sei titoli visto che nel 1999 e nel 2000 riuscirono a mettere in atto la loro terza personale doppietta. A contendergli il primato Youngstown State (Ohio), dominatrice negli anni ’90 (4 titoli tra il 1991 e il 1997) e capace di far girare la storia a proprio favore a discapito di Marshall (West Virginia) che vinse i titoli del 1992 e del 1996 ma perse ben tre finali nello stesso periodo, due delle quali proprio contro i Penguins. Quelle tre finali, se con risultato finale diverso, avrebbero certamente trasformato Marshall in una icona del football collegiale americano.
Con l’avvento del nuovo millennio è stata Appalachian State (North Carolina) la prima università a mettersi in mostra diventando la terza squadra di sempre a vincere due titoli consecutivi nella Championship Division e la prima a conquistarne tre in fila grazie alla vittoria nel 2007.

Division II & III

Nelle division minori, quelle tutte sangue, sudore e lacrime, dove lo studente gioca per passione e per tradizione, è abbastanza facile trovare, con un sol colpo d’occhio, le università che sono riuscite a distinguersi per meriti sportivi.

Nella DII (nata nel 1973) fu Southwest Texas State la prima a mettersi in mostra vincendo due titoli consecutivi nel 1981-82. E’ stata però North Dakota State la prima ad aprire un ciclo vincente davvero duraturo, riuscendo a giocarsi sei finali tra il 1983 e il 1990 e vincendone ben cinque. North Alabama sarebbe divenuta la prima squadra a conquistare tre titoli consecutivi nel 1993, 1994 e 1995 mentre Northern Colorado e Northwest Missouri State si aggiudicarono a suon di doppiette i quattro titoli successivi. Grand Valley State (Michigan) è l’ultima vera grande dominatrice di DII; i Lakers hanno aperto un ciclo di ferro diventando la prima scuola a vincere quattro titoli in cinque anni (2002-03 e 2005-06) dopo aver perso la finale del 2001 e aver chiuso imbattuti nel 2004 e nel 2006. Coach Chuck Martin ha però tutte le armi per poter prolungare la dinastia dei suoi Lakers.

La DIII, creata nello stesso anno della II, ha trovato in Ithaca (New York) una università subito solida e in grado di portare avanti con continuità buonissimi risultati. In un campionato che però ragiona sull’ordine dei playoffs in pieno stile professionistico americano, le teorie applicate sulla Division I-A vengono sovvertite, e le tre finali perse, a fronte di una sola vittoria, nei primi dieci anni di campionato, lasciano più amaro in bocca che ricordi dorati di gloria. Ithaca è riuscita comunque a giocarsi altre tre finali, successivamente, vincendone due e divenendo così di diritto uno dei college più importanti della divisione. E’ però Augustana (Illinois) coi suoi quattro titoli consecutivi (1983-86) su cinque finali disputate la prima scuola a lasciare un’impronta indelebile nella giovane storia della terza divisione.
Nessuno ha più replicato a tale strapotere, fin quando Mount Union (Ohio) ha vinto il suo primo titolo nel 1993 aprendo una serie che ancora non si è chiusa. Sconfitti una sola volta ad un Championship (nel 2003 da St. John, Minnesota, per 24-6, sconfitta che interruppe la serie di 55 vittorie consecutive), i Purple Raiders hanno vinto 110 gare consecutive di regular season tra il 1994 e il 2005, piazzato 14 stagioni da imbattuti, vinto 16 titoli di conference (Ohio Athletic Conference Championships) e trionfato in DIII per ben nove volte da quel primo titolo del 1993.

Ritornati al Championship nel 1996 per non uscirvi più per tre stagioni, i Purple Raiders si sono presi una pausa nel ’99 prima di infilare una nuova tripletta. Persa la finale del 2003, i ragazzi di coach Larry Kehres (il coach più vincente della NCAA per quel che riguarda il football moderno, in 21 anni ha messo in piedi un record di 246-20-3 con un 91.9% di vittorie) hanno rivinto nel 2005 e nel 2006, arrivando così a nove titoli. Ora puntano al decimo, storico, campionato ma Mount Union e il suo head coach sono in assoluto le due più grandi leggende del football di Division III.

Tornando alla division principale e volendo stilare una difficile, difficilissima, lista ecco che allora, sulla falsariga di quella già stilata per la NFL, la classifica potrebbe essere la seguente con, tra parentesi, quella che per Richard Whittingham* è stata la miglior squadra di quel decennio (dal Novecento in poi). Questo per dimostrare una volta di più che tante squadre possono essere state forti come non mai senza riuscire però a dare continuità nel tempo al proprio valore e godendo dei massimi livelli “solo” per una stagione o poco più.

1869-1899: Princeton Tigers** (Yale, 1888)
Novecento: Yale Bulldogs** (Michigan, 1901)
Anni Dieci: Pittsburgh Panthers (Notre Dame, 1919)
Anni Venti: Notre Dame Fighting Irish (Illinois, 1923)
Anni Trenta: Minnesota Golden Gophers (Alabama, 1934)
Anni Quaranta: Army Black Knights (Army, 1945)
Anni Cinquanta: Oklahoma Sooners (Maryland, 1951)
Anni Sessanta: Alabama Crimson Tide (Southern California, 1967)
Anni Settanta: Southern Cal Trojans, Oklahoma Sooners e Alabama Crimson Tide (Pittsburgh, 1976)
Anni Ottanta: Miami Hurricanes (Miami, 1987)
Anni Novanta: Nebraska Cornhuskers e Florida State Seminoles (Nebraska, 1995)
Duemila: Southern California Trojans (?)

*autore di Rites of Autumn, Free Press (USA), 2001, da cui tratta la classifica delle squadre più forti decennio per decennio
**membro della Ivy League, ora inserita nella Division I-AA

Speciali | by Alessandro Santini | 25/07/07

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