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Michael Irvin

Se volete un po’ di statistiche per capire la grandezza del giocatore, al momento del ritiro, nonostante una carriera interrotta prematuramente a causa di un brutto infortunio, Irvin ha stabilito od eguagliato 20 record di ricezione per i Cowboys, tra cui maggior numero di partite con almeno 100 yards messe a referto (47), secondo nella storia di questa classifica solo a Jerry Rice e Don Maynard, 750 ricezioni e 11904 yards totali di guadagno che lo rendono l’undicesimo ricevitore di sempre sotto questo profilo. Inoltre, le sue 11 partite in una sola stagione da più di 100 yards, di cui 7 consecutive, sono non solo record di franchigia, ma anche della lega, e solo Jerry Rice e Steve Largent hanno avuto più stagioni da 1000 yards delle 7 del ricevitore di Dallas.
E nella post season, il momento che separa gli uomini dai ragazzini per usare il gergo americano, il suo standard, se possibile, si elevava ancora di più. Infatti nel playoffs può vantare 6 partite da più di 100 yards, le sue ricezioni e le yards totali di guadagno lo mettono in queste le categorie dietro al solo Rice nella storia.
Ma rende di più dire che esistono 2 tipi di giocatori: quelli che amano questo sport, e quelli che amano quello che questo sport può fare per loro. Michael appartiene alla prima categoria. Per questo è riuscito a diventare una leggenda. Questa la sua storia.

Infanzia e college

Nasce il 5 marzo 1966 a Fort Lauderdale in Florida, ed è il settimo dei 9 figli di Pearl e Walter Irvin, a cui si aggiungono i 6 avuti dai due nei loro precedenti matrimoni. Vive in una piccola casa con solo tre stanze da letto per 19 persone, tanto che Michael avrà un letto tutto per sé per la prima volta solo al college. Ma anche se la sua è una famiglia molto povera, i genitori cercano in tutti i modi di permettere ai figli di avere una vita dignitosa, con il padre che riparava tetti da mattina a sera per 6 giorni a settimana. Nonostante ciò, spesso a natale non c’erano regali, e il cibo scarseggiava a casa. Di scarpe da ginnastica non parliamo neanche… così Michael sognava una vita più semplice, e la desiderava sia per se che per i genitori. E già dalla tenera età si inizia ad intravvedere come porterà via dalla soffocante stretta della povertà tutte le persone a cui è legato e quale sarà il suo futuro. Passa i pomeriggi a correre e a lanciare la palla per riprenderla. La lancia in aria, la lancia con forza contro il muro, e si allena ad afferrarla qualsiasi sia il rimbalzo. Ma si intravvede anche il carattere difficile del ragazzo, tanto che dopo essere stato sospeso alla Piper High School, le scuole superiori della sua città, il padre decide di mandarlo alla St. Thomas Aquinas, una scuola cattolica privata. La scelta ed il sacrificio di Walter sarà ampiamente ripagato. Stando (un po’) più fuori dai guai, Michael si concentra sugli sport. Corre, corre e corre sempre. Finito l’allenamento, ancora con la divisa e le protezioni addosso, va a casa della fidanzata correndo. Il ragazzo sa cosa vuole fare, ed ogni istante della sua vita viene speso per arrivarci. Non solo lui crede in sè stesso, ma anche sua madre ha così tanta fiducia nel figlio che gli ripete sempre: “Tu sei quello che ci porterà tutti fuori di qui”.
È un ottimo giocatore di basket, così tanto atletico che al college vincerà anche lo slam dunk contest statale. Ma è nel football che eccelle, e subito diventa il giocatore più in vista della scuola. Mostra così tanto talento e determinazione che viene eletto All-State e quindi reclutato dalla Miami University allenata da coach Jimmy Johnson, che rappresenta uno dei migliori programmi della nazione. Durante la preparazione il coach ripete: “Ci manca un playmaker”. Dopo pochi allenamenti, e visto il talento abbagliante del giovane ragazzo da Ft. Lauderdale, si rincuora: “Bene, adesso ce l’abbiamo il play”. Ed è così che nasce anche il soprannome di Michael: The Playmaker.

Purtroppo, di fianco alla crescita sportiva con le soddisfazioni che ne conseguono, la vita di Irvin è scossa dalla morte del padre di cancro. Poco prima di andarsene, nel letto dell’ospedale, Walter pretende di parlare proprio con Michael, perchè vuole fargli promettere di prendersi cura della madre. Suo figlio non solo glielo promette, ma per tutta la carriera, dopo ogni TD, ha sempre alzato le braccia verso il cielo, puntando le dita tra le nuvole, verso il padre: “Perchè non ho mai dimenticato la promessa che ho fatto”.
Nel 1987 guida la squadra sino al championship dello stato del 3 ottobre, in cui affronta in finale Florida State, imbattuta e numero 2 del ranking. I Seminoles pensano di mettere su di lui il CB più talentuoso che hanno, tale Deion Sanders. La storia del match dice che Florida State sta vincendo 19-3 all’half time, ma nonostante il risultato, Irvin continua a spingere, a lottare, a correre e a bloccare. Sanders gli va vicino e gli dice: “Perchè ti agiti così tanto, perchè continui a bloccare? La partita ormai è finita!”. La risposta del WR: “Noi siamo gli hurricane! Noi non molliamo mai, noi non ci fermiamo mai!”. Come in un copione di un film, Miami segna due TD con Michael, di cui uno da 73 yards di corsa sulla sideline a 3 minuti dalla fine su lancio di Steve Walsh (che seguirà il compagno e coach Johnson a Dallas), e ribalta una partita già persa, portandola a casa per 26-25 e proiettando Miami all’Orange Bowl contro Oklahoma. Bowl ovviamente vinto con, ovviamente, un suo TD.

Con la maglia arancione Irvin ha ricevuto più passaggi (143), più yards (2423) e più ricezioni da TD (26) di ogni altro giocatore della scuola, e Dan Le Betard, giornalista del Miami Herald, sintetizza così l’esperienza del playmaker tra gli uragani: “era il leader che impersonifica più di ogni altro il modo di giocare duro della squadra. Voglio dire, si potrebbe mettere la faccia di Michael sugli elmetti al posto della U”.

Draft e primo anno nella NFL

Nel 1988, con un anno di anticipo sulla conclusione dei 4 anni collegiali, si dichiara eleggibile per il draft, ed è l’undicesima chiamata, il terzo ricevitore, di una classe che ha regalato una quantità enorme di talento alla lega, con 32 futuri pro bowler e 2 hall of famer nelle prime 80 scelte.
La chiamata rende felicissimo il ragazzo della Florida, perchè “Mio padre tifava per i Cowboys. Io da piccolo volevo andare fuori a giocare, ma mio padre mi teneva in casa e mi diceva: guarda, gioca l’America’s team! Così, quando sono stato scelto da Dallas con l’undicesimo pick, per me era il paradiso”.
Appena arrivato, subito mette in mostra il suo carattere. Come mette piede in campo per il primo allenamento del training camp, per nulla intimidito dai leader veterani Danny e Randy White, tanto per dirne due, si presenta dicendo “questo è il mio team!” e sceglie il numero 88 del grande Drew Pearson.
Diventa quindi la prima matricola ad esordire come titolare da 23 anni, e nella stessa partita di debutto realizza il suo primo TD, peraltro da 35 yards.
La miglior prestazione dell’anno la registra contro i Washington Redskins, con 6 ricezioni per 149 yards e 3 TD. Le cifre sono esaltanti per un rookie, soprattutto contando i lunghi tempi di maturazioni di cui necessita il ruolo. Però Dallas è una squadra esperta ma in declino, e in questo 1988 vince solo 3 partite. Lo stesso Irvin non ricorda con piacere quell’anno: “Perdevamo sempre. Perdevamo e perdevamo e perdevamo ancora. Dopo ogni sconfitta io piangevo, mentre agli altri sembrava che non importasse niente”. E queste sensazioni nonostante il grande primo anno, nonostante le sue 20,4 yards per ricezione di media, miglior prestazione di tutta la NFC. Da questa frustrazione si capisce lo spirito dell’uomo, che non si concentra su se stesso, sebbene abbia un ego smisurato, ma vuole prima di tutto vincere. Bisogna subito fare questa specifica: Irvin è un combattente, un animo competitivo, e il suo volere sempre la palla non significa che lo faccia per una gloria personale, ma solo perchè si ritiene, e non a torto, colui che più di ogni altro ricevitore può garantire la vittoria, perchè non si tira mai indietro di fronte ai momenti difficili o alle ricezioni pericolose “Gli altri mi dicevano «ma tu sei senza paura». Io gli rispondevo “no! Io sono coraggioso, che è diverso dal non avere paura. Io sconfiggevo le mie paura. E quando uscivo dall’huddle mi ripetevo «o prendo la palla, ritorno nel ghetto»”.

Da Johnson al Candlestik Park

A fine stagione cambia la proprietà della squadra, arriva Jerry Jones, un businessman dell’Arkansas, che come prima mossa licenzia Tom Landry, l’unico allenatore della storia della franchigia. Al suo posto chiama un suo ex compagno di squadra al college: Jimmy Johnson, proprio l’allenatore che ha vinto un championship nel ’88 a Miami con Irvin, il quale ricorda: “Come ho sentito che sarebbe arrivato, sapevo che con lui sarebbero cambiate le cose”. Il suo primo anno sulla panchina dei texani si conclude con una sola vittoria, dovuta al cambio generazionale in atto nel team: le vecchie glorie forzate al ritiro, tanti giovani e poco talento, con un rookie al comando della squadra, Troy Aikman. A complicare le cose, Michael si infortuna al ginocchio alla sesta giornata contro i 49ers in un tentativo di ricezione. Il momento dell’infortunio è terribile per il ragazzo della Florida, i cui primi pensieri, accasciato mentre si tiene il ginocchio, sono molto tristi e li rivelerà solo a fine carriera: “Tutti quegli anni a correre, a lavorare, a forzare.. tutto andato. Ero devastato, perchè pensavo che non avrei più giocato. Ma io questo sono. Io questo so fare. Se non gioco più, che cosa farò.. onestamente, in quell’attimo c’ho pensato”. Ma Jimmy Johnson non si cura di chi gli diceva di essere pessimista sul ritorno a buoni livelli, o del ritorno stesso del suo pupillo, così lo aspetta, lo rincuora, e lo ripaga della lealtà che Michael ha sempre avuto nei suoi confronti ai tempi del college. E il Playmaker vuole a tutti i costi dargli ragione. Gli infortuni gravi fanno trasparire un senso di umanità in questi atleti, perchè è il momento in cui ci si rende conto che sotto casco ed armature, a dispetto della durezza di questo sport e dei colpi che sembrano non scalfirli dandogli un senso di onnipotenza, ci sono persone che hanno le loro debolezze, le loro paure. Come tutti noi. Ed è nei momenti di difficoltà che le persone si mostrano per quello che sono. In questo, in uno dei momenti più difficili della sua vita, di sicuro il più difficile della sua carriera sportiva, il carattere dell’ex uragano viene fuori. Darren Woodson, safety dei tre anelli, racconta come recuperava il suo compagno di squadra: “Durante la off-season, ero rientrato negli spogliatoi del centro di preparazione per prendere delle cose che avevo lasciato nell’armadietto, e là c’è una finestra che dà sul campo di allenamento. Lì ho visto Michael che provava le tracce senza QB, da solo, senza nessuno che gli lanciasse la palla, senza nessuno che difendeva.. e lo ha fatto per più di 50 volte. Ha un’etica del lavoro che nessuno può pareggiare”.

Questo secondo anno tra i pro si conclude con 26 ricezioni e 378 yards in neanche 6 match, con una proiezione che lo vedeva superare le 1000 yards nell’anno senza lo stop forzato. La sfida ora, nella off season, è di procedere con la riabilitazione e rientrare nella squadra che continua a ringiovanire con la chiamata al draft di un giovane RB da Florida: Emmitt Smith.

Nel 1990 sta ancora lavorando per la completa riabilitazione alla partenza della stagione, così perde le prime 4 partite, e quando rientra, non ha il posto da titolare, perchè Coach Johnson non lo vuole spremere troppo. Infatti gli fa fare pochi giochi per partita, ma in quei pochi i guadagni sono considerevoli, con una media di 20,7 per ricezione e 5 TD. Le qualità atletiche non lo hanno abbandonato, il legamento è guarito ed è questo l’importante. In più quest’anno emerge un dato fondamentale: le prime due ricezioni della stagione le fa nell’ultimo, decisivo e vittorioso drive contro Tampa Bay. È lui il go to guy di Aikman nelle situazioni complicate come terzi e quarti down. Le sue mani e la sua determinazione lo fanno diventare il bersaglio sicuro quando non si può sbagliare “per me la cosa più bella del mondo è stare sul campo da football, partita sulla linea, 3&8, e guardare il mio QB Troy Aikman che mi chiama… e io do tutto quello che ho ogni giorno. È facile. Basta correre, girarsi e prendere la palla”. In più il poter allenarsi e giocare insieme con sempre maggiore continuità sta facendo sviluppare un affiatamento unico tra l’ex Bruin e l’ex Hurricane, che stanno diventando una coppia che pian piano inizia a mettere apprensione nelle secondarie di tutta la lega.

L’anno seguente cambia il mondo! Aikman era già titolare, ma ora lo diventano stabilmente anche Irvin e Smith, che mettono a referto più di 1500 yards a testa. Micheal riceve in stagione 93 palloni e segna 8 TD, affermandosi come uno dei top receiver della lega. La sua prestazione di yards guadagnate nel ’91 è già la migliore della lega e la sesta di ogni tempo, il tutto a soli 25 anni. In più continua a rivelarsi la valvola di sfogo delle situazioni difficili, ricevendo per ben 11 volte palloni che chiudevano un down su terzo o quarto tentativo.. dato da riferire solo nella serie di 5 partite vinte consecutivamente.
L’elenco dei drive finali vincenti è lunghissimo: Washington, Pittsburgh, New Orleans, Philadelphia… tutte partite che andrebbero raccontate per la bellezza delle vittorie, ma in tutte i denominatori comuni sono la freddezza di Iceman e la determinazione del Playmaker. A dispetto dell’età del team, viene centrata la qualificazione ai playoffs.
Nella post season riceve 9 palloni per 167 yards nei 2 match giocati dai texani, e si guadagna la chiamata al suo primo Pro Bowl, in cui segna un TD dopo il quale arriva Jerry Rice per festeggiarlo. Michael ricorda quel momento: “Ero felicissimo, perchè Jerry è un Dio. E volevo dimostrare a lui, e a tutti i ragazzi, che potevo stare lì. Così chiedevo sempre la palla, anche se era la mia prima partita in mezzo a loro”. Nel Pro Bowl il ragazzo riceve 8 palloni, guadagna 125 yards, segna un TD e si porta a casa il trofeo di MVP della partita. Questa è il primo trofeo che riceve da pro, ma l’obiettivo è ben altro e l’estate sarà all’insegna del lavoro per raggiungerlo perchè per Michael “Devi avere grande intensità in allenamento, così avrai grande intensità in partita. E solo allora vincerai”.
In soli due anni passa dai pensieri di fine carriera al titolo di miglior giocatore della partita delle stelle. E devono ancora arrivare le sfide importanti sul serio. Per quanto cada, e cadrà, sia in campo che nella vita privata, questo ragazzo trova e troverà sempre una forza enorme per rialzarsi.

Il ’92 è l’anno di grazia, in cui la squadra è inarrestabile. I tifosi dei Cowboys sono numerosi nella maggior parte delle trasferte. Al Rose Bowl di Los Angeles, stadio in cui verrà anche giocato il Super Bowl a fine anno, c’è il sold out per la sfida con i Raiders, in un impianto che quell’anno, in tutte le altre partite, rimarrà semi vuoto. I Cowboys sono tornati ad essere il main event, come dice lo stesso Michael “E’ l’America’s team. E noi stavamo tornando a quello che aveva fatto diventare questa squadra l’America’s team. Eravamo come i Beatles”. Di quella squadra, ben 11 giocatori appaiono settimanalmente in un programma televisivo o radiofonico. Il coach ha il suo “Jimmy Johnson Show” in tv, Aikman appare persino nel video di musica country “Oklahoma Nights”, mentre Irvin “Finita la partita tornavo a casa.. e mi ritrovavo delle ragazze ad aspettarmi!”.
Le vittorie si susseguono, ma un fatto curioso accade alla decima giornata: l’aereo del team deve partire per la trasferta di Detroit, ma manca Michael. Coach Johnson decide di partire lo stesso, e appena Irvin arriva a Detroit da solo, va da lui e gli dice “Michael, tu sei la mia star! Sono molto arrabbiato!” però, come dice Aikman “Jimmy sa quando un giocatore può fargli vincere la partita. Lo potrà poi punire più tardi durante la settimana…” e così Irvin gioca e segna un TD nella vittoria per 37 a 3. La sua miglior prestazione la gioca contro Phoenix contro cui guadagna 210 yards, ed Emmitt la ricorda così: “In una partita contro i Cardinals, il loro CB Lorenzo Lynch gli ripeteva: playmaker, oggi non riceverai niente, non prenderai niente!” Irvin: “Grazie per avermi svegliato. Ricezione e TD da 87 yards. Alla fine della giornata avevo toccato 8 palloni e avevo fatto 3 TD”.
La stagione si chiude con il record per la franchigia di 13 vittorie, con un attacco devastante in cui contributo del Playmaker è di 1400 yards e 7 TD, nonchè una difesa al top della lega. Nei playoffs vengono distrutti gli Eagles per 34-10, così la destinazione è il Candlestick Park di San Francisco per affrontare nel championship i 49ers di Steve Young e Jerry Rice, che in stagione hanno perso solo 2 partite.

Arrivano i titoli

Queste sono le sfide che esaltano l’ego di giocatori come Irvin: “Oooh.. championship game a San Francisco. Questa è la mia partita! E là c’è Jerry Rice. La foto che avevo sull’armadietto al college”. I pronostici sono per la squadra californiana, ma i texani giocano una grande partita, e a 4 minuti dalla fine i ‘boys sono sopra di 4 con la palla in mano nelle loro venti, in quello che nella telecronaca originale viene definito come il più importante drive dei Cowboys negli ultimi 12 anni. Si potrebbe tentare di correre per essere conservativi e far passare il tempo. Ma Johnson vuole segnare! Così l’OC Norv Turner ed il suo HC chiamano uno schema di lancio, che prevede una deep slant per Irvin, e una hook per Alvin Harper, con il secondo come opzione primaria. Usciti dall’huddle, Irvin va da Alvin e gli dice di cambiare il lato perchè lui vuole la palla, poi si dirige dal suo QB per dirgli “Dimenticati di Alvin. Lancia la palla a me! La partita è in bilico, devo ricevere io perchè in questi momenti io sono più pronto di chiunque altro”. Lo spirito competitivo di Michael emerge dalle sue parole. Ma io ricordo con ancora maggior piacere che Aikman appena messosi dietro al centro legge un blitz, quindi la scelta di lanciare ad Harper diventa la più logica perchè se riceve, avrà un corridoio spianato sino alla red zone. Così diventa lui il target, che riceve e come da lettura, dopo aver preso la palla Alvin ha la via libera sino a 10 yard dalla end zone. Irvin, come si gira e vede Alvin con il pallone pensa che sta correndo con il “suo” pallone e sta rovinando un momento che desiderava tantissimo.. ma è anche il primo che arriva ad abbracciare il proprio compagno di reparto. È questo che trovo meraviglioso! Irvin è un giocatore dall’ego smisurato, ma nel momento in cui si è materializzata la vittoria, ha dimenticato ogni egocentrismo. Non contano le statistiche, bisogna solo vincere. Finisce 30-20, e i ‘boys ritornano a staccare il biglietto per un super bowl, il 27, da giocare in una California che pare porti proprio bene al giovane team. Questa partita è ricordata come il “cambio del regno”, con i ‘niners che erano la squadra dominatrice degli anni ’80, dopo aver preso il testimone proprio dai Cowboys, ma che ora gliel’hanno restituito.

Nella finale di Pasadena gli avversari sono i Buffalo Bills, squadra con più esperienza perchè viene da due Super Bowl consecutivi, anche se entrambi persi, pieni di grandissimi giocatori e contraddistinti da una no huddle offence che complica moltissimo il lavoro di adattamento della difesa avversaria. Ma il pensiero dei ‘boys è “Abbiamo battuto i 49ers di Young e Rice a San Francisco. Chi sono i Bills?”. E infatti Buffalo, che nella partita perde QB e RB titolari, viene distrutta per 52-17, con Aikman ai limiti della perfezione, che lancia 2 TD proprio al suo WR preferito, che ora ricorda così quel giorno “Non ho mai visto un QB lanciare come Troy lanciava quella palla. Nel secondo TD, quando ho visto che arrivava il pallone, il defensive back era in vantaggio per intercettarla e aveva davanti a sé 95 yards di campo libero. Così ho saltato per fare da scudo al pallone, e girandomi ho evitato il tackle, tuffandomi poi in end zone. Ragazzi, ho fatto veramente una grandissima giocata! E amo rivederla ancora.”
Ma è il primo TD che realizza in quella partita Irvin che è il più bello anche da sentir raccontare “Tutta la vita ho immaginato quel preciso istante. Tutti gli allenamenti, tutte le sofferenze, tutte le notti passate a piangere, era tutto per questo momento!”
Come scritto, la partita si conclude con una straripante vittoria dei giovani Cowboys. Vittoria bellissima per Michael perchè “Il titolo più bello? Il primo. Non c’è niente come la prima volta. Ed eravamo più di una squadra. Partiti dal fondo, eravamo arrivati alla cima. Tutti insieme”.

L’anno seguente l’obiettivo è il back to back, ma la stagione parte con l’holdout di Smith che vuole un nuovo contratto. Dopo 2 sconfitte nelle prime 2 giornate, Jerry Jones decide di dare al suo RB i soldi che gli chiede, e con lui di nuovo in campo, ritornano le vittorie, che sono 6 consecutive sino all’infortunio di Aikman contro i Giants, che salterà poi 4 match. Il bilancio di fine stagione è di 12-4, e il WR della Florida porta a casa 1330 yards e 7 TD. Ma è solo adesso che arriva il bello della stagione: siamo ai playoffs!
Nel divisional contro Green Bay si esalta, ricevendo 9 palloni per 126 yards ed un TD. Vittoria facile che spedisce la squadra texana al championship, dove incontra ancora i ‘niners. Ed ancora una volta è una vittoria. In una partita meno combattuta rispetto a quella di 365 giorni prima, il risultato finale è di 38-21. Al Super Bowl ci sono di nuovo i Bills, che però quest’anno, tra infortuni e una stagione meno convincente del solito, appaiono un avversario meno temibile. O almeno sembrano così. Nel primo tempo Jim Kelly e compagni prendono il controllo della partita, complice anche un Aikman che non è in condizione di giocare a causa dei postumi di un trauma cranico subito nel championship. E di questo infortunio ne fa le spese soprattutto Irvin, che riceve solo 5 palloni per 66 yards e nessun TD. Ma in compenso uno strepitoso Smith trascina i suoi al secondo anello consecutivo.

Con due titoli vinti di fila, i Cowboys sembrano lanciatissimi verso il terzo titolo consecutivo. A maggior ragione visto che i loro avversari più agguerriti, i 49ers, sono tanto inarrestabili in stagione regolare, quanto incapaci di battere i rivali texani nella post season. In particolar modo è Steve Young che soffre molto il confronto con Aikman. La stagione regolare vede i due team dominare la lega, e come da previsione si ritrovano nel championship, ancora al Candlestik Park. La forza di queste due squadre è tanta che Sports Illustated pubblica in copertina la foto dei due QB avversari, divisi dalla scritta “the real Super Bowl”.
Però l’inizio è inquietante per i texani, che tra intercetti e fumble si ritrovano sotto di 21 punti già dopo i primi 8 minuti di partita. Ma chi l’ha vista, non può non ricordare che nonostante le spalle al muro, Irvin continua ad andare su e giù per la sideline ad urlare ai compagni per motivarli, perchè non pensino di mollare. Quel giorno è ricordato così da Troy Aikman : “La partita che ricordo con più piacere è la sconfitta al championship contro i 49ers. Se l’avessimo vinta, probabilmente ora avremmo 4 Super Bowl consecutivi. La ricordo con piacere perchè siamo andati subito sotto di 21 punti, e c’erano tutti i presupposti per mollare. E invece non l’abbiamo fatto. Michael continuava a ricevere ed Emmitt continuava a correre. È una sconfitta in cui abbiamo fatto moltissimi errori. Ma quel giorno abbiamo capito chi eravamo. E Irvin mi diceva: non importa come, ma tu fammi arrivare il pallone addosso”. Oggi, Irvin la commenta così: “Il match che ricordo di più è quello, perchè c’è mancato così poco per rimontare e compiere la più grande vittoria… c’è mancato poco così!”. Ho riportato questi pensieri perchè il carattere non si vede nelle vittorie, si vede nelle sconfitte. E questi ragazzi, nel momento stesso in cui è finita la partita, hanno solo ed esclusivamente pensato all’anno seguente, a riprendersi quel trofeo che avevano appena ceduto, ma che sentivano ancora loro.

Così, come ogni estate, Irvin e Aikman lavorano per tutta la off season a Valley Ranch per aumentare il loro affiatamento e la loro fiducia. Lavorano così tanto che Darryl Johnson, fullback dei ‘boys anni ’90 ha detto: “Se voi bendate Aikman e Irvin e poi gli fate fare le tracce, vi assicuro che completeranno il passaggio”. E questo feeling raggiunto in campo, si riflette tuttora fuori, con Micheal che ammette come Troy sia il compagno che sente più spesso ed uno dei suoi migliori amici.

La determinazione di Michael la si capisce da come dopo la sconfitta, il 1995 per lui è l’anno più produttivo, in cui setta il record NFL con 11 partite consecutive da più di 100 yards di ricezione, e colleziona in stagione 1603 yards totali e 10 TD. Proprio non gli va giù quel championship andato male. La stagione regolare si chiude ancora con 12 vittorie nonostante Dallas in free agency abbia perso il suo compagno di reparto Alvin Harper, e ora tutta la pressione del gioco aereo è supportata dal Playmaker e dal TE Jay Novacek.
La squadra ha il miglior record della NFC, ma alla week 11 subisce una pesantissima sconfitta per 38-20 contro i rivali di San Francisco. Contro i californiani, Irvin colleziona uno dei pochissimi fumble della sua carriera, ed inizia a materializzarsi dalle parti del Texas la paura che forse la squadra rosso-dorata abbia fatto svoltare l’inerzia degli scontri diretti in suo favore.
Ma dalla partita successiva torna a salire in cattedra Irvin, l’anima ed il cuore dei Cowboys, ed il suo spirito combattivo non lo abbandona mai. 111 ricezioni per 1603 yards e 10 TD segnati in questa stagione non rendono comunque l’idea dell’apporto che dà il playmaker alla squadra. Darryl Johnson: “Quando stavamo perdendo.. una stagione o una partita.. lui era il ragazzo che ci tirava fuori da quelle situazioni”. Dallas vola diritta al championship dove questa volta affronta Green Bay, che batte 38 a 27, e si prepara al Super Bowl XXX contro Pittsburgh. Nella finalissima è la difesa che domina tanto che l’MVP è il CB Larry Brown, mentre Irvin non incide. Ma non importa se alla fine si può sollevare il Vince Lombardi Trophy per la terza volta.

Gli eccessi e la conclusione della carriera

Un altro aspetto del carattere di Michael è quello della sua eccessiva esuberanza e propensione ad “andare oltre”. Darren Woodson: “Finito l’allenamento, andava fuori e festeggiava tutta la notte. E il giorno dopo era di nuovo ad allenarsi. Mi domandavo, ma come fa?!” E in una di queste notti brave, festeggia il suo compleanno in una stanza d’albergo in compagnia di alcune ragazze e della cocaina. La DEA entra in stanza e lo arresta. Non viene condannato alla prigione, ma a pagare 10mila dollari e a svolgere servizi socialmente utili. Inoltre la lega lo sospende per le prime 5 partite della stagione ’96. “Per me non c’è stato più nulla di uguale da allora” racconta.
Purtroppo Michael fa fatica a separare la sua vita nel campo da quella fuori dallo stesso, non riuscendosi a levare quel senso di onnipotenza che lo stadio e il gioco gli danno: “Per me la cosa più difficile era abbandonare il campo, lo stadio in cui 90000 persone urlano il tuo nome, ed andare a casa. Non riuscivo a farlo”.
Al suo rientro, in sole 11 partite riceve quasi 1000 yards, ed i Cowboys riescono ad arrivare alla post season dove affrontano i Carolina Panthers. Ma la partita viene oscurata da uno scandalo che scoppia poco prima del match, con Michael ed un compagno che vengono accusati di violenza sessuale su una donna. Le accuse si riveleranno non vere, ma minano ancora di più lo stato d’animo di Irvin, che sul campo prima subisce un infortunio al collo, e poi vedrà la sua squadra eliminata dagli sfavoriti Panthers.
Il playmaker tornerà ad avere buone stagioni in termini di cifre nel ’97 e nel ’98, con 1200 yards più 9 TD e 1000 yards più 1 TD rispettivamente, ma il declino della della squadra si inizia ad intravvedere, con il nuovo nella NFC rappresentato da Green Bay. Ed è un “nuovo” con il quale Dallas non riesce a competere. Infatti nel 1999 il team ha i suoi anni, Aikman stringe i denti e combatte come un leone, ma gli infortuni sono sempre più frequenti e questo penalizza inevitabilmente il suo gioco. Poi la linea d’attacco ogni anno lavora meno bene… siamo al tramonto di un’era insomma. Uno dei colpi decisivi al team che tanto ha regalato alla storia della franchigia è datato 10 ottobre: contro gli Eagles, Irvin compie l’ultimo gioco della sua carriera. Su una traccia corta viene placcato, lui protegge il pallone abbassando il casco, ma cade male, con tutto il peso del corpo caricato sulla testa che batte a terra.

“Provavo a dire sto bene. Ma non riuscivo a muovermi. E si era materializzata la mia più grande paura, quella di rimanere paralizzato”. Esce in barella dal Veterans Stadium tra i fischi del pubblico non molto sportivo. Fortunatamente l’infortunio non è così grave da procurargli la paralisi, ma sufficiente a porre fine alla sua carriera. Indomabile come sempre, appena dimesso dall’ospedale ritorna a bordo campo per continuare ad incitare i compagni. Ma l’avventura con il casco stellato è ormai giunta al termine, e l’annuncio del ritiro avviene solamente un mese più tardi.

Quanto fatto sul campo nella sua carriera è più che sufficiente per mandarlo a Canton, nella Hall of Fame con la classe 2007, dove è già presente Aikman, e dove arriverà tra non molto anche Emmitt Smith.
Alla cerimonia per la sua entrata nell’arca di gloria, il proprietario dei Cowboys Jones lo ha presentato così: “Negli spogliatoi Michael era prima un compagno di squadra, poi un competitivo, e solo dopo una super star. È un ragazzo che ha fatto degli errori. Ma molti lo seguono, perchè sanno che pochi come Michael Irvin riescono a rialzarsi in piedi con la stessa forza”.

Rich Dal Rymple, pubblic relator dei Cowboys, in un’intervista sul ricevitore hall of famer ha detto: “Negli anni ’90 Miami era la squadra NCAA del decennio. Ed i Cowboys erano il team professionistico della decade. La costante? Michael Irvin”. Secondo Le Batard “Lui era un uragano, ma non solo per il suo casco di Miami, bensì per quello che aveva dentro. Era un ragazzo che diceva «guarda, io sono un grande. Ti dico che sono un grande prima di prenderti a calci. Poi ti prendo a calci, e quindi ti ricorderò come ti ho preso a calci»”. Questo è il suo stile, molto più facile da trovare ora in giocatori come Chad Johnson e prima di lui in T.O., ma che in molti ritengono originario del Playmaker.

La tripletta

Cosa si può dire delle tre star che hanno riempito la bacheca del Texas Stadium? Le parole di chi c’ha giocato insieme e chi li ha visti da vicino ci fanno capire molto bene che impatto avevano quei tre campioni. Bill Bates, safety del team: “Credetemi, allenarsi con quei ragazzi (Aikman, Smith e Irvin) faceva migliorare tutti. Michael aveva l’abilità di creare separazione. Lo abbiamo coperto tantissime volte in allenamento, sapevamo che traccia avrebbe fatto, sapevamo i suoi movimenti, ma aveva il fisico per spingerti via e creare comunque la separazione”.
Rick Gosselin: “Tra 50 anni non parleremo della squadra, ma solo di 3 giocatori: del QB, del RB e del WR”.
L’ultima volta che la tripletta è stata al centro del Texas Stadium è stato il 19 settembre 2005, per la consegna dei ring of honor dei Cowboys. E Irvin ha come sfondo del computer la foto di quella sera in cui lui con i suoi tre compagni, i suoi tre amici, ricevono l’onoreficenza. Nelle interviste fatte al trio per l’evento, Emmitt Smith dice una cosa bellissima, appoggiando la mano sulla spalla del suo compagno: “Io avevo il talento. Ma come lavorare me l’ha insegnato quest’uomo”. Rivedere le immagini di quella sera è commovente, per le lacrime di Michael, per come i tre si sono abbracciati, nello stesso modo in cui lo facevano in campo. Sembrava di essere ritornati indietro nel tempo.
L’intricata personalità di Michael viene rivelata anche dalle parole dette quella sera, che fanno capire come quest’uomo aveva sì un grandissimo culto del proprio talento, ma sapeva essere parte di una squadra, di un qualcosa di necessariamente più grande di lui: “Voglio essere onesto, il mio lavoro è stato reso facile da questi due ragazzi. Troy mi metteva la palla nelle mani, ed Emmitt attirava le difese con le sue corse. Non c’è un modo per scrivere la mia storia senza di loro, e per loro non c’è modo di scriverla senza di me. E per me questo è tutto. Quando vado allo stadio e vedo i nostri tre nomi vicini nel Texas Stadium… noi saremo per sempre ricordati come la tripletta. E per me questo è un grandissimo onore”.

Legends | by Alvin Gabbana | 06/08/08

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